8.2.08

Un classico problema di ingegneria ferroviaria...


Tratto da un http://gleisbau-welt.de (tedesco, manco a dirlo...)

23.1.08

Abfahrt!

9.1.08

Come abitare all'Ikea e vivere felici...

Il pazzoide Mark Malkoff (già noto per aver girato tutti i 171 locali della catena Starbucks di Manhattan, http://www.171starbucks.com) vive da un po' di giorni in un magazzino Ikea del New Jersey (http://www.marklivesinikea.com).
Contento lui, contenti tutti.

4.1.08

Video dal tubo



Dalla colonna sonora di un film svedese di qualche anno fa (Hannah med h, "Hannah con l'H).

1.1.08

In itinere nel nuovo anno!


Camminando, camminando eccoci al 2008!
Auguri a tutti per un anno a passo svelto, sicuro e mai stanco!

30.12.07

FIP Tour 07 - VI puntata

25/III/07
sul treno per York, h 11,06


Devo scrivere un sacco di cose perché ieri sono stato colto dalla stanchezza del being lost in London e sono letteralmente svenuto sul letto.
Eravamo dunque rimasti a due giorni fa sulla Trader che si avvicinava sempre più alle coste di Albione. Lo sbarco è stata la parte meno divertente di tutto il viaggio: come tutti hanno visto dalle grandi finestre opache di salsedine la nave mettere la prua nel porto, è scattata un'agitazione generalizzata che è stata prontamente sedata dagli annunci del personale di bordo. "Lo sbarco dei signori passeggeri avverrà non prima di 30', in quanto deve essere prima liberato il garage dai mezzi che lo occupano". Nessuno però crede che sia vero e ci pressiamo nello stretto corridoio della reception illudendoci che non è veramente mezz'ora, ma molto meno. Illusione vana, manco a dirlo. Comincia a salire un'ansia generale in chi deve prendere il treno come me, ben sapendo che è l'ultimo della sera per Londra e non si sa neanche se c'è un pullman dopo. In più ci aspetta il transfer con l'autobus, il controllo passaporti e la discesa in stazione... lo strano col cappello basco ovviamente mi sevizia durante l'attesa, fiutando l'aria bislacca in me forse, chiedendomi cose a raffica, dal perché aspettiamo in piedi a che linea di metropolitana dovrà prendere a Londra per andare in una zona che fingo di non aver mai sentito nominare... oddio, sono quasi cieco dalla stanchezza e dalla fatica, come la pubblicità della Fiesta.
Il "bus" che viene a raccattarci è un pulmino da 9 posti in cui ci pressiamo a fatica dopo aver fatto una fila non troppo british e veramente molto italian, cioè avanzando nervosamente a passetti tentando di superare il vicino e ostacolando la salita degli altri allargando le braccia e mettendo le valigie a mo' di cavallo di frisia ai lati: io vengo stappato con il secondo scaglione per la stretta porta del pulmino e garato nel posto assieme alle valige dalla forza della folla che preme da dietro.
Per fortuna il viaggio per il terminal dura un paio di minuti e il controllo passaporti è abbastanza agile: il bislacco mi ha raggiunto e mi rincorre chiedendomi ovviamente qualcosa, per fortuna una coppia di ragazzi olandesi mi offre asilo nella loro conversazione, capendo il mio grave empasse. Lui ha una faccia da fesso, organizza tour di architettura a R'dam, lei, in carne quanto basta per renderla interessante e con i capelli rossicci, è traduttrice e saltuariamente fa la guida turistica. Sapendo che vengo da Roma (solita occhiata di stupore e di ammirazione: essere italiano e per giunta romano incute rispetto e sorpresa, quasi fossi comparso come il prefetto del pretorio Seiano che scendendo da cavallo si aggiusta la tunica e si sfila l'elmo piumato) mi mostrano tutti contenti che l'inserto letterario del Volkskrant, il quotidiano omologo per posizioni e stile alla nostra "la Repubblica", si chiama nientemeno che Cicero: parlando con loro scopro la solita illusione romantica sul nostro paese, secondo loro paese di letterati, di poeti, di santi e di navigatori... non sanno che leggiamo meno degli spagnoli (fonte Eurostat) e che i nostri tesori sono minacciati dalla muffa, dalle promesse dei politicanti e dalla cafoneria dei cittadini che fanno di tutto per renderlo inaccogliente, cazzeggione, caotico, stressante, sporco e burino. Ma non glielo dico, li lascio nella sbornia post-romantica da lettura del "Viaggio in Italia" di Goethe, che spero venga bandito al più presto dai programmi scolastici nord-europei...
Per trovare l'ostello giro tutto lo sciccosissimo quartiere di Notting Hill, dove vedo parcheggiate Porsche, Bentley e Rolls Royce in tutti gli angoli delle strade: mi accontenterei anche di una squallida Austin o di una consunta Ford Orion che mi dia un passaggio fino alla mia destinazione, perché la carta del Touring nella guida mi ha messo fuori strada. Giro degli angoli buissimi di Holland Park dove una gang appostata nelle fratte potrebbe ripulirmi completamente con un semplice sgambetto, finendo alle finestre della camerata dell'ala esterna dell'ostello occupata da ragazzini di scuola media francese che fanno a cuscinate. Bussando ai vetri non penso subito che potrei essere equivocato facilmente per un pedo-guardone, infatti arriva subito la proffa in vestaglia allarmata dai suoi studenti ai quali avevo chiesto come ca**o si entri dentro perché giro da 20' senza senso: le mie spiegazioni convincenti e l'aria stanca e provata che si dipinge sulla mia persona fanno però cadere i sospetti e grazie alle indicazioni della madame finalmente imbrocco l'ingresso, dove un receptionist rasta molto scostante mi spiega a mezza bocca che la tessera internazionale cartacea che ho io non vale in UK e perciò non mi può fare lo sconto. A denti stretti, con accento acetato, gli dico che sul Continente vale così e che il pezzo di carta che ho io è perfettamente equipollente, spostando vagamente la questione sulla diversità a tutti i costi dell'isola albionica e dei suoi regolamenti... al che tace e abbozza, un po' spaventato dalla mia reazione ferina, dettata dalla difficoltà della traversata, dal russo puzzolente, dai rumeni arroganti, da una camminata di 45' attorno ad un parco senza entrate.
L'ostello è ricavato nella vecchia Holland Residence, un casino di caccia (e di chissà che altro) di un potente Lord ammanicato alla Corona e completato nel 1607, cui sono state aggiunte un paio di palazzine stile anni '70. Il letto è composto da tre barette o cassettoni disposti ognuno con un angolo di 90° rispetto all'altro, nei cui anditi sono ricavati gli armadietti: il mio è quello più basso, rasoterra praticamente e meno male perché non saprei proprio come si possa salire sul più alto, visto che non ci sono scalette o appigli. Ci sono due giapponesi e un inglese che ronfano della grossa (è mezzanotte passata), ma non si sente afrore di umanità né russare. Good. Mi alletto come se dovessi entrare nel tunnel della TAC e, appena sento l'esile cuscino-presina sotto la testa, svengo dalla stanchezza.

L'indomani comincia il London Tour, più o meno "random". Nonostante tutte le indicazioni scritte e le piantine affisse, riesco a sbagliare clamorosamente treno nella metropolitana, accorgendomi però quasi subito dell'errore: approfittano del week-end per fare onerosi lavori di manutenzione, mettendo fuori servizio molte linee e limitandone altre. Ci vuole occhio e soprattutto orecchio agli annunci in banchina e in treno, sennò si rischia di finire verso Wimbledon pensando di andare a London Bridge...
L'isteria di cui ho avuto un assaggio sulla mia pelle in nave si palpa ovunque, sommessa, ma si avverte. Polizia ad ogni angolo (armata con fucili M pergiunta), cestini sigillati, specchi ad ogni angolo dei sottopassaggi per controllare che succede nell'angolo cieco, annunci ripetuti all'ossessione di "report anything suspicious immediately to members of staff".
Pure nell'immensa e gratuita Tate Gallery si ripete l'angosciosa pantomima dello zaino lasciato incustodito e del relativo security alert: un disattento continentale come me lo lascia dietro una balaustra per fare delle foto a dei quadri e immediatamente tre commessi di sala cominciano a chiedere affannosamente a tutti di chi sia. Segue cazziatone al malcapitato, a mezza voce, educato ma fermo, come da copione. La bellezza delle tele esposte e la pace che regna in queste sale mi fa rinsavire e alleggerisce anche la tensione accumulata in due giorni convulsi, il verismo pittorico vittoriano è wonderfoul: lascio parecchie sterline nello shop del Museo, ma ne vale veramente la pena.
All'uscita raggiungo London Bridge perché voglio visitare una mostra permanente sulla Londra del Blitzkrieg, i giorni in cui la Luftwaffe fece vedere i sorci verdi a tutti gli inglesi, ma mancano 40' alla chiusura e mi dicono che non visiterei tutto con la dovuta calma. Mi consolo affogandomi nella folla del vicino mercato, dove trovo persino un Ape onusto di prodotti calabresi, su cui risalta una nduja color rosso brace da far paura. Faccio merenda ad un "Support British food", un chiosco eno-gastronomico che fa parte di un circuito per il recupero delle tradizioni, dove prendo spiedini alla londinese conditi con senape della capitale, agrissima. L'heritage si esaurisce però in un menù di mezza paginetta: in quanto a cucina, i Britons hanno ben poco da dire...
Si sono fatte le quattro ed è giunta l'ora di un bel pub: me lo scelgo accuratamente, ce ne sono parecchi, ma non voglio finire in un glamour bar, preferisco intossicarmi in una bella sala fumosa con i sedili in velluto e una frotta di sfaccendati che guardano il pallone in TV. Eccomi accontentato: mi accomodo al bancone (enorme e circolare, con quattro blocchi di spine contrapposti), dove comincio con una "Carling" per tenermi sul commerciale, per passare poi ad una "Spitfire", heritage anch'essa. Sembra acqua di Tamigi ma è ottima. L'ostessa non vuole sentire ragioni da una coppia di americani che vogliono mangiare: sono passati 5' dalle quattro, la cucina è appena chiusa. Heritage anche il regolamento.
Un po' frastornato dalla birra in corpo e disorientato dalla fitta pioggerella shower che cade, prendo un autobus nella direzione che suppongo giusta, ma che si rivela ovviamente errata: stramaleddetta guida a sinistra, ancora non ho adattato il mio orientamento a questa pratica. E così finisco in periferia, quella vera, multietnica, very London. Sono appena salito sull'autobus che conduce in senso inverso, quando la strada viene sbarrata da vari veicoli della polizia, furgoni, moto e auto. Due bobbies salgono al piano di sopra, dove sto anch'io, e con gesto imperioso dell'antenna della radio ordinano a due ragazzini color caffellate e vestiti hip-hop di scendere "immediately". Segue un interrogatorio e una perquisizione sul marciapiede, cui assistiamo noi passeggeri assieme ai passanti della strada. Tutti sono agitatissimi sul bus, soprattutto gli immigrati: una ragazza dall'aspetto est-europeo mi confessa preoccupata l'andazzo dei tempi, però quasi contenta che lei non abbia avuto noie. Un lampeggiante blu crea un panico indescrivibile, di questi tempi e da queste parti.
Scendo a Trafalgar Square e mi metto ad aspettare l'heritage su ruote, un vecchio autobus rosso con la piattaforma aperta e il bigliettaio che salmodia le fermate (il famoso "RouteMaster") che fanno circolare su una linea del centro per tenere vivo l'heritage, of course. Faccio solo un paio di fermate, giusto per sfizio trasportistico, fino al capolinea di Oxford Street, gremita di gente, dove si sentono parecchi accenti italioti. Passo nel cortile delle Guards' Barracks, le caserme delle guardie della Regina, da cui si è affacciato un ufficiale vestito con una mantella azzurrina e una lunga crina bianca: bercia un paio di ordini, sbatte i tacchi e rotea la sciabola in aria per rilevare il picchetto di guardia di fronte alla caserma, per la gioia dei turisti, che impazziscono letteralmente. Passo davanti a Downing Street,
dove Blair si starà facendo un tè in completa tranquillità visto che la strada è blindata con enormi cavalli di frisia e con solide cancellate; giungo a Westminster, salgo sul ponte per vedere la torre ingabbiata del Big Ben, recito il copione del turista alla perfezione insomma.
Nonostante sia già buio, ma non si è fatto troppo tardi, decido di arrivare in metro ad Abbey Road per un omaggio beatlesiano, ma la pioggerella mi disorienta, la strada è lunga e semibuia, perciò non trovo il famoso incrocio dove i Quattro si fecero immortalare per la copertina di uno dei loro LP più belli: per la foto mi accontento di un attraversamento pedonale semaforizzato, tanto conta il pensiero!
È ora di coricarsi, o meglio, di svenire sul letto...

L'indomani mi sveglio con l'ora legale in vigore e i miei nuovi compagni di stanza che si preparano: sono degli ufficiali (o come si chiamano) dei Boy Scout, abbastanza bislacchi anche loro. Ancora non mi sento di fare colazione con bacon and eggs, forse domani, se avrò stomaco e coraggio. Prendo il 10 che fa un giro stupendo per Hyde Park, Marble Arch, Oxford Street fino a King's Cross Station dove sono salito sul treno su cui mi trovo ora: è molto affollato, c'è gente anche in piedi, poiché è l'unico domenicale per la West Coast. C'è vicino a me un tipo vestito di pelle con cane al seguito che si sganascia con un dvd sulle regine della commedia black e, fino alla stazione precedente, una giovane madre (ma quando mai al Nord le madri non sono giovani, cioè hanno poco più dell'età mia?!) con la figlia di 2/3 anni (appena salita mi chiede cortesemente di aiutarla a togliere le pile da un libro parlante della figlia per non disturbare...).
Ah, è passato il carrello dei refreshments e ho assaggiato finalmente il tè con latte, per non sembrare diverso agli occhi degli altri viaggiatori: non fa affatto schifo come temevo, anzi.

h 18,53
sul treno per Londra


Mi sono deliziato al National Railway Museum, una tappa obbligata per un trasportista, quasi la Mecca del trasporto ferroviario, che in quest'Isola è stato veramente inventato. Inutile dire che, al di là degli aspetti storici e delle questioni tecnico-scientifiche, l'esposizione è affascinante e veramente istruttiva per tutte le fasce d'età; quello che lascia un po' interdetti è che il livello di sviluppo del servizio non sia andato oltre i gloriosi anni Sessanta, quando la Union Jack era cool e Londra era "swinging". I treni ad alta velocità sono quasi tutti a trazione diesel, le porte si aprono con maniglie dall'esterno, in prima classe i tavolini sono sempre apparecchiati con un set da tè in porcellana bianca col monogramma della compagnia, i cancelli di ingresso ai marciapiedi vengono richiusi poco prima della partenza. La privatizzazione spintissima come neanche nel settore aereo o telefonico ha lasciato le sue ombre e non ha certo aiutato al progresso. Eppure non si può fare a meno della ferrovia qui. Nessuno può rinunciarci, anche quando i treni sono pieni al 120% (leggo sul Daily Express) su alcuni servizi pendolari. La regina regnante si è fatta costruire un treno reale nuovo per andare in giro per Albione e Carlo, che tenta malamente di studiare da erede al trono, si è fatto pizzicare dai giornali che tornava con un SUV (seppure a biodiesel) dopo un presenziamento ufficiale dopo aver sbandierato ai quattro venti di essere un utente del servizio su ferro.
Tutto il mondo è paese.
Il treno viene da Glasgow, un po' come dire un Napoli-Milano, sia per reciproci rapporti di forza delle città, sia in quanto a tempi di percorrenza: non c'è molta gente, molti sono business commuters, pendolari del business che scendono nella capitale, attempate signore in visita ai parenti, studenti che tornano da casa. La campagna inglese nel freddo tramonto è affascinante, assomiglia a quella toscana che sfila tra i finestrini tra Roma e Firenze, ma è meno curata della nostra, ha un aspetto vagamente romantico.
Tutto il mondo è paese.

27.12.07

Un Natale di pace...

Anche loro fanno a mazzate a Natale per motivi futili...