15.4.07

FIP Tour marzo 07 – III puntata

Prae Scriptum:
Dedico queste note ad un altro viaggiatore, un alpinista che non è riuscito a scendere dalla montagna e a tornarsene a a casa.
Non lo conoscevo bene, l'ho visto quattro o cinque volte, non ho scambiato chissà quali discorsi profondi, non ero legato a lui da chissà quale profonda amicizia, però sono rimasto turbato quando ho saputo che una persona che ho conosciuto, con cui ho cenato, parlato e scherzato è morto precipitando in un canalone di una montagna.
Riposa in pace, F.



21/3 h. 9,04 (sul treno per Leeuwarden)
Utrecht–Leeuwarden–Alkmaar–Haarlem

La notte trascorre tranquilla (e meno male…), giusto la scure della finestra seicentesca non si chiude perfettamente e lascia passare una lama di luce che alle 5 sono sveglio, ma riesco a portare avanti un dormiveglia per altre due ore, poi mi alzo e mi preparo. Praticamente mi lavo e mi sbarbo in vetrina, perché le finestre della camerata (in cui c'è il lavandino) sono enormi e la strada che ci separa dall'edificio davanti è stretta: per fortuna non esce nessuno, ma io avrei fatto finta di nulla ugualmente, perché da queste parti usa così. Beate quelle terre che pongono la privacy in cima al vivere civile…
A colazione entro assieme ad un cieco (o almeno presumo tale per l'occhiale scuro e i gesti impacciati, comunque sicuri) che somiglia molto a Giobbe Covatta.
Il giornale free–press che trovo sul sedile in treno titola trionfale su tre colonne "De lente is begonnen!" (È cominciata la primavera!), e una foto di agnellini appena nati e di tulipani in fiore campeggia nelle pagine interne. Fanno 11°, tira un vento gelido, anche se c'è un bel sole…e vabbè…
C'è anche un trafiletto su un'operazione anti–camorra ("de Napolitaanse tak van de Maffia")… e vabbè…
Le previsioni annunciano tragedie giusto quando dovrò attraversare il mare del Nord in traghetto… e vabbè…
Il carrello dei beveraggi e degli snack su questo Intercity è stato incorporato nel venditore che porta tutto l'occorrente in una specie di grosso zaino, ai cui lati sono impilati i bicchieri di carta per le bevande calde: non voglio però sapere da dove cacci tè o cioccolata calda…
Il programma di oggi è abbastanza folle e non poteva essere altrimenti perché da me ideato: i punti di partenza e di arrivo (Utrecht ed Haarlem) distano una ventina di minuti di treno, io ci metterò quattro ore e mezza, disegnando un enorme ferro di cavallo che passa per Leeuwarden, il capoluogo della Frisia, la grande diga di contenimento (Afsluitdijk) ed Alkmaar.

22/3 h. 10,23 (sul treno per Leiden)
Haarlem–Leiden–Rotterdam

Ieri, appena scendo dal treno a Leeuwarden (o Ljouwert, in frisòne), vengo investito da un terrificante puzzo di stalla che riempie l'aria, sia pure spazzata da un vento molto freddo: mi viene da malignare che non potrebbe essere altrimenti, dato che la Frisia, di cui questa città è il capoluogo, è la patria della mucca da latte più produttiva al mondo, la frisona pezzata bianca e nera, capace di una media di 30–35 litri di latte al giorno.
Al Museo di Frisia, nel centro cittadino, però nessuna menzione sulle glorie ruminanti. Mi viene però il solito senso di vergogna per come siamo capace di violentare il nostro patrimonio culturale.
Qui la storia di questa gente fiera e solerte, che, agli albori della storia dell'umanità, ha costruito dei montarozzi fangosi artificiali (le terpen) per stare con i piedi asciutti, ha organizzato gli unici due scioperi generali e le attività di guerriglia clandestina durante l'occupazione nazista, ha rotto le palle, ma con educata e democratica fermezza, alla Casa reale dei Nassau per essere riconosciuti come regione indipendente, senza però approdare ad alcunché, viene raccontata in addirittura due edifici affacciati l'uno all'altro, collegati da un tunnel sotterraneo: tutto è pulito, ordinato, comprensibile, anche se in alcune sale mancano le didascalie in inglese. I nostri musei che raccontano storie ben più complesse e custodiscono tesori ben più pregevoli dei vestiti della spia–zoccola Mata Hari, altra gloria locale (cimeli storici interessanti, intendiamoci) sono sporchi, disordinati e incomprensibili. La domanda è sempre la stessa "ma perché?" Chissà…
Ma non ho molto tempo per rimuginarci sopra, perché si sono fatte quasi le due e l'autobus che porta ad Alkmaar parte ogni ora e devo scarpinare di corsa verso la stazione mangiucchiando delle pizzette e dei panini che ho preso in panetteria, assieme all'immancabile succo di mela, con cui mi sto drogando di brutto.
La linea percorre interamente la diga di sbarramento aperta nel 1932, l'opera principale all'interno dei grandiosi lavori di sottrazione delle terre all'acqua di quegli anni, di cui l'ing. Lely fu il grande artefice: a lui è dedicata la più recente città olandese, sorta nel '53, Lelystad appunto, dove — mi informano ancora i giornali free–press — è stata celebrata la giornata mondiale dell'acqua.
L'autobus marcia sonnolento sulla diga, 32 km in tutto, fa due fermate in circa mezz'ora, l'autista si attiene scrupolosamente ai limiti, 90, poi 70, spesso anche 30 nelle zone di attraversamento di piccoli borghi. C'è qualche studente che però scende quasi subito, una madre nera con bambina, una ragazza che prima di arrivare si trucca forsennatamente (forse per il ragazzo) perché ha dormito tutto il tempo. L'unico che desta curiosità perché onusto di bagagli sono io.
Ad Alkmaar però mi mancano le forze per farmi un giro in città, che è abbastanza lontana dalla stazione: decido di proseguire subito in treno per Haarlem e farmi un bel giro nella città olandese che preferisco su tutte. C'è anche il tempo per rimanere "scioccato" dalla gentilezza di una ragazzina che, vistomi in difficoltà con zaino, bagagli e lattina di aranciata, mi offre il suo aiuto per scendere qualche cosa per le scale del sottopassaggio… la ringrazio a mezza bocca con espressione ebete, sono rimasto veramente sorpreso dalla cosa…

Ad Haarlem trovo in camerata un salernitano che lavora a Basilea, venuto da queste parti per canna–turismo, e quattro marmisti rumeni che lavorano ad un cantiere qui vicino. La zona loro, in cui sta il mio letto, è un mezzo suk: c'è una cassa di birra già ammezzata, una cestina di cipolle aperta, generi alimentari vari, panni sparsi ovunque.
Ancora non sono tornati quando esco per andare a cenare in centro dall'arabo al Grote Martkt, dove mi rimpinzo di kebab alla piastra e patate fritte.
Quando torno li trovo tutti quanti che si stanno mettendo a tavola: sono sulla quarantina, uno solo, il più anziano, parla inglese. Li lascio fare e mi metto un po' sull'internet a gettoni: dopo un po' arriva Luc, uno dei marmisti, che mi fa capire a gesti di voler mandare una mail alla figlia. Caccia un'agendina nuova ed intonsa, regalatagli per l'occasione penso, piena di numeri e indirizzi mail: fatico non poco a spiegargli a gesti, metà in italiano e metà in francese totoesco confidando nell'universalità della lingua romanza che la mail non è a risposta immediata e che poi domani io me ne vado e perciò non può leggersi alcunché.
Il mito del buon selvaggio comincia a prendere sostanza: gli apro un account mail, tento di insegnarli qualche rudimento di navigazione, mentre un suo compare ridacchia quando confronta me che ticchetto agilmente sulla tastiera a due mani aperte e Luc che con l'indice teso cerca un carattere alla volta sui tasti. Sono diventato il passatempo della serata, sono tutti frizzi e lazzi, partono sboccate considerazioni sulla prosperità fisica di Nadia, la figlia di Luc, accompagnate da gesti prorompenti e fischi goliardici.
In mezzo a sto bailamme, si leva una voce di ragazzina italiana: "E basta! Girati! Non mi devi fissare, hai capito?!?"
C'è una scolaresca di terza media di Milano e una delle studentesse rimbrotta il paffuto marmista coi baffetti che la fissa intensamente alle mie spalle. Intervengo e tento di calmare l'esagitazione giovanile, ma lei mi dice che prima le ha appoggiato una mano sul sedere, abbaiando per giunta. Mi sta per partire una risatona, però devo mettere le cose in chiaro: faccio capire a gesti e a parole chiave al rumeno che sono minorenni, che se i professori italiani chiamano la "polìs" loro se ne tornano in Romania di corsa.
La tonda faccia del rumeno paffuto diventa bianca dallo spavento: la prospettiva di tornare a casa senza soldi dalla moglie, con una querela appresso, gli calma i bollenti spiriti di colpo. La nera prospettiva ha un effetto calmante anche sugli altri, che smettono di fare gli inopportuni con le ragazzine.
Quando è ora di mettersi a letto cominciano le dolenti note di convivenza multi–etnica: le lattine di birra partono a coppie e triple, è un continuo "pftssss" di linguette di metallo che si aprono (ne conto 7), di chiacchiere ad alta voce nonostante abbia creato un oscuramento strategico notturno per fargli capire che è ora di coricarsi. Solo alle 23 si spegne tutto e si dorme.
Almeno riesco a fare così fino a mezzanotte e mezza quando urla e strepiti nel corridoio mi svegliano di colpo: stavolta sono i liceali francesi — molto scostanti — che vanno a sfumazzare i loro souvenir d'Amsterdam. I tentativi di riprendere subito sonno si volatilizzano all'istante perché la cestina di cipolle sotto il letto e gli avanzi di cibo mandano un odore grave, cui si mischia l'alito di birra dei dormienti e, soprattutto, il loro feroce russare. L'aria è un cubo di soluzione esausta. Le pareti tremano sotto i colpi delle russate violente sincrone e asincrone dei lavoratori sfranti dal duro compito in cantiere.
Però io voglio dormire! All'una chiedo di cambiare camera in reception e mi piazzano al piano di sopra: il trasloco avviene in un lampo a lume di torcia (in bocca) e nel salottino dell'ingresso, dove mi fermo a radunare le mie povere cose, incontro la piccola milanese che ho difeso dalle bramosie del bafometto pannonico, la quale comincia a versare gratitudine e riconoscenza, dandomi del "lei", come pure fanno le amiche chiamate a raccolta, quasi fossi una personalità.
Un'occhiata di un loro prof di passaggio mi incenerisce pensando chissà che e manda tutte a letto: sono troppo stanco per chiarire e me ne vado in stanza pure io.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

ciao nico, anche questa volta ho letteralmente divorato questa nuova pagina dei tuoi appunti di viaggio. Ma perchè non ti decidi a scrivere un libro?????Viele Gru:sse, Elisabetta.

Selene ha detto...

e così oltre che grande viaggiatore, anche cavalier servente delle povere fanciulle in difficoltà! ma questo ormai lo sapevo già! =P
devo dire che leggendo i tuoi post la prima impressione che si ha è che tu non dorma mai! anche se per questo magari c'è stato il treno... =)
Ps: aspetto con ansia la quarta puntata, in cui spero di non leggere pervertiti notturni o molestatori rumeni...ce la farai a passare una giornata/nottata normale?!?!?1
bacio

Anonimo ha detto...

... dì la verità... tu facevi il rumeno e il rumeno faceva te... EDDAI !!!