4.3.06
Nessun dorma!
Le Olimpiadi invernali si sono chiuse una settimana fa. Purtroppo dico io, perché, oltre a costituire un ottimo ansiolitico per le nostre coscienze, afflitte da una campagna elettorale ad alzo zero (nello spessore dei contenuti come nell'angolo di tiro delle bocche di fuoco), è stato il momento per tirare fuori dalla naftalina il nostro orgoglio nazionale.
Oltre a vedere esposti i marchi ben noti dell'industria e dell'artigianato "Fatto in Italia" (che qualche volta deludono, vedasi l'orrendo giaccone della Nazionale color neve sporca sotto il parafango), abbiamo scoperto altri motivi di piacere.
Oltre a vedere il tricolore issato dai carabinieri in grand'uniforme e dalla loro brava Banda musicale (che quando c'è bisogno di aprire il salotto buono fanno sempre la loro figura) e, qualche volta, garrire sul pennone più alto nel vento gelido, oltre a provare un poderoso orgasmo nell'assistere al poderoso sforzo di Di Centa che pompava un oro sul traguardo, sfatto di gioia e di fatica, un altro momento ci ha regalato un autentico brivido nella colonna vertebrale.
Proprio alle battute conclusive della favolosa cerimonia d'apertura ecco sbucare Big Luciano Pavarotti e lanciarsi con l'orchestra nell'accorata e commovente aria della pucciniana "Tourandot": un acuto che ha trapassato ben due miliardi e rotti di teleschermi e che ha eccitato l'entusiasmo degli spettatori dello stadio, che hanno salutato l'esecuzione con un tremendo boato di gioia, ben più grande di quello che ha accompagnato le ultime note di "Imagine" suonate senza troppo impegno da Peter Gabriel.
Gioia di essere protagonisti della scena. Gioia di sapere, e scusate se è poco, che quasi tutto il globo terracqueo conosce ed apprezza le note di Puccini, che quella sera acquistavano un significato particolare.
Tranquilli, non sono malato di nietzschiana Wille zum Macht, non sono ebbro di volontà di potenza e di deliri nazionalistici.
Anche se qualche nostro vicino d'Europa qualche volta riesce a tirarcelo fuori, facendoci prendere un discreto travaso di bile.
Il caso Enel è l'ultimo in ordine di tempo. Pensiamo ad Alitalia ed al salvataggio di Alstom (sempre francese) rianimata da Parigi con un viatico da miliardi di euro, pur essendo pratica turpe e vietata.
Realizzare che su questo continente contiamo, a torto, come il famoso due di coppe e che, con noi, valgono sempre due pesi e due misure è come un po' scoprire l'acqua calda. E, per chi crede nei valori della bandiera stellata blu e oro, quest'acqua è proprio rovente, provoca delle terribili ustioni emotive.
I soliti tedeschi insegnano: quando i dirigenti delle ferrovie francesi presero contatti con i loro colleghi teutoni per acquistare delle tracce orario (diritti di transito) per realizzare un collegamento ad alta velocità con Monaco, si sono sentiti risponde, con ferma educazione, picche.
Motivazione ufficiale: "Infrastruttura prossima ai valori di saturazione".
Leggasi: "Finché non ci permetterete di far arrivare il nostro ICE fino a Parigi, il vostro TGV non circolerà mai sulla nostra rete."
Dunque, "Nessun dorma!".
Leggasi: "Accà nisciuno è fesso!"
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