20.3.06

Queen Victoria is back!

[da corriere.it 20/III]
Donne e spot: salvate Rocco. O vietateli tutti
Dopo il no del Giurì alla pubblicità delle patatine: abbiamo visto di peggio

Ma sul serio non possiamo più vedere Rocco Siffredi con le patatine? Davvero lo spot bocciato offende «le nostre convinzioni morali e civili» nonché «la dignità della persona?». E poi: dopo esserci sorbiti per anni un siciliano macchietta (lesivo della dignità del popolo della Trinacria) che blaterava «io ce l'ho profumato» (lesivo della sensibilità di tutti i maschi normo-odoranti) siamo davvero a rischio volgarità-indecenza per due battute in piscina? Sembra di sì.
Ormai è andata. Il Giurì che regola la disciplina pubblicitaria ha stabilito che lo spot delle Amica Chip non dovrà più essere trasmesso. E' un peccato — opinione personale condivisa da altri teleutenti immorali, maschi e femmine — perché era uno dei pochi che, nella sua scemenza, ci faceva ridere. La pornostar Siffredi passeggiava a bordo piscina, dotato di patatine, circondato da bellone in bikini (neanche nude, negli spot degli anticellulite si vede assai di peggio, per molte donne è proprio indecente doversi confrontare con certi glutei). E dichiarava: «Ne ho assaggiate tante». Proclamando la superiorità della Chip Amica. Raccomandando: «Fidatevi di chi ne ha provate molte». Si chiudeva con lo slogan storico della casa — lanciato nel 2002, insomma se ne sono accorti dopo quattro anni — e cioè «la patatina tira». Doppio senso volgare, non c'è dubbio. Allo Iap, istituto di autodisciplina pubblicitaria, sono arrivate segnalazioni indignate (in primis quella del Moige, il movimento italiano genitori, sempre ignaro della sempre più nutrita fascia di genitori sciagurati con figli bacchettonissimi, peraltro). Problema segnalato dallo Iap: «Le donne vengono equiparate a un bene di consumo... c'è un univoco significato latente».
Fermo restando che «sicuramente il testimonial non è in discussione». Sicuramente? Non del tutto. Nessuna donna mediamente informata può rimanere turbata alla notizia che Siffredi ha avuto molte esperienze in materia (anche le pornostar vanno alle happy hour con patatine, che diamine). Molti ragazzini potrebbero provare-aver provato turbamenti causa rivali in amore che si sfregiano per un aperitivo (più grave della sperimentazione in fatto di patatine, che è interessante, spesso gradita, legale; lì si va sul penalmente perseguibile); molte ragazzine — e adulte — potrebbero essere rimaste male guardando lo spot sadomaso della ragazza che lustra col suo corpo l'auto del moroso per ottenere una mentina che le viene poi negata. Per cui sorge un sospetto: al di là dell'indubbia volgarità casereccia dello spot Amica, non è che gli uomini del Giurì si sono innervositi? Più che per i doppi sensi, per Rocco? Che il pornodivo diversamente dotato più che offendere le donne metta in ansia i maschi, almeno quelli che deliberano? In un panorama pubblicitario in cui il nudo, l'ambiguo, l's/m purché eleganti (e mica sempre) la passano liscia, censurare il filmatino goliardico delle Chips pare un'ingiustizia, francamente (e poi: di tutti gli altri spot qui citati si ricorda con fatica la marca; in quello di Rocco la memoria è immediata; come pubblicità funziona meglio, allora, ammettiamolo).

Maria Laura Rodotà

15.3.06

A buon intenditor, poche parole

DIECI REGOLETTE FACILI FACILI

1. Un presidente del consiglio non si alza e se ne va. Se lo fa mostra di essere un debole e sbaglia. Ma è suo diritto farlo.
2. Il conduttore di una trasmissione deve fare di tutto per arrivare alla fine. Soprattutto se capisce che l'intervistato sta cercando l'incidente.
3. L'aggressività non è l'arma migliore per le interviste.
4. Se l'intervistato dice: "Mi faccia finire di rispondere", bisogna farlo finire. Ma attaccare e insultare l'intervistatore non è una grande idea.
5. L'intervistato non può suggerire le domande. Però bisogna fargliene di migliori.
6. Non può nemmeno dire "Ho a disposizione questa intervista..."
7. Ma nemmeno il conduttore può dire: "Questa è casa mia".
8. Il conduttore deve essere preparato. E ha una sola arma: le domande. L'intervistato deve conoscere la differenza fra un comizio e un botta e risposta.
9. Ho l'impressione che sia il presidente che la giornalista abbiano approntato un trabocchetto e che tutti e due ci siano cascati.
10. Se invece di una intervista si fa un dibattito ci vuole il moderatore.

Claudio Sabelli Fioretti

12.3.06

Plurale majestatis/2

Seconda (ed ultima parte) del mio incontro virtuale col Sabellone

«Ok, mi sta bene la sua poetica giornalistica, che condivido, seguo, apprezzo e sosterrò sempre. Quando tentiamo di stimare quanti seggi potenziali perdono o conquistano gli ultimi due intervistati, ammettiamo implicitamente il potere di zavorramento del voto che l'Informazione può esercitare o, meglio, di indirizzo (voluto o no) delle coscienze dell'elettorato. È la scoperta dell'acqua calda. In guardia, però, i rischi sono sempre dietro l'angolo, anche quando si pensa di agire nella maniera più deontologica possibile. Le contraddizioni di Fini, Dell'Utri e compagnia cantante – di cuiperaltro gran parte delle persone sono a conoscenza e ne comprendono gli effetti – dovevano per forza essere eviscerate ad un mese dal voto? Va bene, è il governo uscente e bisogna dargli la pagella: ma non è altrettanto (se non più) efficace il confronto su base relativa con gli sfidanti della parte avversa? Tanto più che le magagne che i sopracitati personaggi portano appresso fanno ormai parte del bagaglio informativo della maggior parte dell'elettorato? Ai posteri l'ardua sentenza. Per i viventi… dubbi e frustrazioni di vario genere alla vigilia del voto.»

«Se io facessi dei faccia a faccia farei dei confronti. Faccio delle interviste invece.» (csf)

11.3.06

Plurale majestatis

Come si sa, l'editoriale del direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli ha suscitato molto clamore: riporto il botta e risposta avuto con Claudio Sabelli Fioretti sul suo blog a proposito della vicenda.

«Rimango, come tutti, molto sorpreso dalla "spalla" di Mieli. E sconfortato, perché sento che ho perso un altro grande ed obiettivo riferimento, il Corsera. Siamo tutti grandi e hobbesianamente vaccinati per non credere, come seminaristi in ritiro, alla sempiterna buonafede nell'imparzialità delle testate e di chi ci lavora, però il gesto è pesante. Oltre ad aver dato al Berlusca un altro motivo di urlacchiare nei radio–giornali che i comunisti sono ancora fra noi, che occupano i posti di rilievo nell'industria dell'informazione e che i famosi bambini vengono serviti all'acqua pazza sulle tavole imbandite di questi ultimi (cosa di cui francamente – in questa terribile campagna elettorale ad alzo zero – non ne avvertivamo affatto la necessità), si è gettata così su via Solferino un'ombra pesante e diciamo pure carica di delusione. Quella di Mieli non è affatto una dichiarazione personale, le frasi volte al plurale non sono "di maestà": è un messaggio, sia pure largamente condivisibile e sottoscrivibile per l'inattaccabilità del ragionamento, che riporta opinioni diffuse nella redazione. Condivisibile sì, ma non quando appare sulle colonne di un quotidiano come Corsera. E poi, tirata d'orecchie anche a lei, caro CSF: in piena campagna elettorale, la settimana scorsa Dell'Utri, ora Fini… ma allora ve la cercate proprio, eh?!?»
***
«Esistono due maniere di considerare il giornalismo. C'è chi pensa che l'importante è occupare spazio. Non importano i contenuti. Basta farsi vedere. E' la via "televisiva". Nessuno ti ascolta, nessuno ti legge, ma tutti ti vedono e sanno che esisti e quindi tu guadagni importanza, visibilità e in definitiva consenso. C'è chi pensa che l'importante è quello che dici. Io non so chi abbia ragione. So che seguo la seconda via. Lei pensa che Dell'Utri e Fini abbiano guadagnato voti a causa della mia intervista? Io sono proprio contento di averli intervistati in questo periodo perché è in questo periodo che avevo la possibilità di metterli di fronte ad alcune contraddizioni.» (csf)

4.3.06

Nessun dorma!


Le Olimpiadi invernali si sono chiuse una settimana fa. Purtroppo dico io, perché, oltre a costituire un ottimo ansiolitico per le nostre coscienze, afflitte da una campagna elettorale ad alzo zero (nello spessore dei contenuti come nell'angolo di tiro delle bocche di fuoco), è stato il momento per tirare fuori dalla naftalina il nostro orgoglio nazionale.
Oltre a vedere esposti i marchi ben noti dell'industria e dell'artigianato "Fatto in Italia" (che qualche volta deludono, vedasi l'orrendo giaccone della Nazionale color neve sporca sotto il parafango), abbiamo scoperto altri motivi di piacere.
Oltre a vedere il tricolore issato dai carabinieri in grand'uniforme e dalla loro brava Banda musicale (che quando c'è bisogno di aprire il salotto buono fanno sempre la loro figura) e, qualche volta, garrire sul pennone più alto nel vento gelido, oltre a provare un poderoso orgasmo nell'assistere al poderoso sforzo di Di Centa che pompava un oro sul traguardo, sfatto di gioia e di fatica, un altro momento ci ha regalato un autentico brivido nella colonna vertebrale.
Proprio alle battute conclusive della favolosa cerimonia d'apertura ecco sbucare Big Luciano Pavarotti e lanciarsi con l'orchestra nell'accorata e commovente aria della pucciniana "Tourandot": un acuto che ha trapassato ben due miliardi e rotti di teleschermi e che ha eccitato l'entusiasmo degli spettatori dello stadio, che hanno salutato l'esecuzione con un tremendo boato di gioia, ben più grande di quello che ha accompagnato le ultime note di "Imagine" suonate senza troppo impegno da Peter Gabriel.
Gioia di essere protagonisti della scena. Gioia di sapere, e scusate se è poco, che quasi tutto il globo terracqueo conosce ed apprezza le note di Puccini, che quella sera acquistavano un significato particolare.
Tranquilli, non sono malato di nietzschiana Wille zum Macht, non sono ebbro di volontà di potenza e di deliri nazionalistici.
Anche se qualche nostro vicino d'Europa qualche volta riesce a tirarcelo fuori, facendoci prendere un discreto travaso di bile.
Il caso Enel è l'ultimo in ordine di tempo. Pensiamo ad Alitalia ed al salvataggio di Alstom (sempre francese) rianimata da Parigi con un viatico da miliardi di euro, pur essendo pratica turpe e vietata.
Realizzare che su questo continente contiamo, a torto, come il famoso due di coppe e che, con noi, valgono sempre due pesi e due misure è come un po' scoprire l'acqua calda. E, per chi crede nei valori della bandiera stellata blu e oro, quest'acqua è proprio rovente, provoca delle terribili ustioni emotive.
I soliti tedeschi insegnano: quando i dirigenti delle ferrovie francesi presero contatti con i loro colleghi teutoni per acquistare delle tracce orario (diritti di transito) per realizzare un collegamento ad alta velocità con Monaco, si sono sentiti risponde, con ferma educazione, picche.
Motivazione ufficiale: "Infrastruttura prossima ai valori di saturazione".
Leggasi: "Finché non ci permetterete di far arrivare il nostro ICE fino a Parigi, il vostro TGV non circolerà mai sulla nostra rete."
Dunque, "Nessun dorma!".
Leggasi: "Accà nisciuno è fesso!"