30.12.07

FIP Tour 07 - VI puntata

25/III/07
sul treno per York, h 11,06


Devo scrivere un sacco di cose perché ieri sono stato colto dalla stanchezza del being lost in London e sono letteralmente svenuto sul letto.
Eravamo dunque rimasti a due giorni fa sulla Trader che si avvicinava sempre più alle coste di Albione. Lo sbarco è stata la parte meno divertente di tutto il viaggio: come tutti hanno visto dalle grandi finestre opache di salsedine la nave mettere la prua nel porto, è scattata un'agitazione generalizzata che è stata prontamente sedata dagli annunci del personale di bordo. "Lo sbarco dei signori passeggeri avverrà non prima di 30', in quanto deve essere prima liberato il garage dai mezzi che lo occupano". Nessuno però crede che sia vero e ci pressiamo nello stretto corridoio della reception illudendoci che non è veramente mezz'ora, ma molto meno. Illusione vana, manco a dirlo. Comincia a salire un'ansia generale in chi deve prendere il treno come me, ben sapendo che è l'ultimo della sera per Londra e non si sa neanche se c'è un pullman dopo. In più ci aspetta il transfer con l'autobus, il controllo passaporti e la discesa in stazione... lo strano col cappello basco ovviamente mi sevizia durante l'attesa, fiutando l'aria bislacca in me forse, chiedendomi cose a raffica, dal perché aspettiamo in piedi a che linea di metropolitana dovrà prendere a Londra per andare in una zona che fingo di non aver mai sentito nominare... oddio, sono quasi cieco dalla stanchezza e dalla fatica, come la pubblicità della Fiesta.
Il "bus" che viene a raccattarci è un pulmino da 9 posti in cui ci pressiamo a fatica dopo aver fatto una fila non troppo british e veramente molto italian, cioè avanzando nervosamente a passetti tentando di superare il vicino e ostacolando la salita degli altri allargando le braccia e mettendo le valigie a mo' di cavallo di frisia ai lati: io vengo stappato con il secondo scaglione per la stretta porta del pulmino e garato nel posto assieme alle valige dalla forza della folla che preme da dietro.
Per fortuna il viaggio per il terminal dura un paio di minuti e il controllo passaporti è abbastanza agile: il bislacco mi ha raggiunto e mi rincorre chiedendomi ovviamente qualcosa, per fortuna una coppia di ragazzi olandesi mi offre asilo nella loro conversazione, capendo il mio grave empasse. Lui ha una faccia da fesso, organizza tour di architettura a R'dam, lei, in carne quanto basta per renderla interessante e con i capelli rossicci, è traduttrice e saltuariamente fa la guida turistica. Sapendo che vengo da Roma (solita occhiata di stupore e di ammirazione: essere italiano e per giunta romano incute rispetto e sorpresa, quasi fossi comparso come il prefetto del pretorio Seiano che scendendo da cavallo si aggiusta la tunica e si sfila l'elmo piumato) mi mostrano tutti contenti che l'inserto letterario del Volkskrant, il quotidiano omologo per posizioni e stile alla nostra "la Repubblica", si chiama nientemeno che Cicero: parlando con loro scopro la solita illusione romantica sul nostro paese, secondo loro paese di letterati, di poeti, di santi e di navigatori... non sanno che leggiamo meno degli spagnoli (fonte Eurostat) e che i nostri tesori sono minacciati dalla muffa, dalle promesse dei politicanti e dalla cafoneria dei cittadini che fanno di tutto per renderlo inaccogliente, cazzeggione, caotico, stressante, sporco e burino. Ma non glielo dico, li lascio nella sbornia post-romantica da lettura del "Viaggio in Italia" di Goethe, che spero venga bandito al più presto dai programmi scolastici nord-europei...
Per trovare l'ostello giro tutto lo sciccosissimo quartiere di Notting Hill, dove vedo parcheggiate Porsche, Bentley e Rolls Royce in tutti gli angoli delle strade: mi accontenterei anche di una squallida Austin o di una consunta Ford Orion che mi dia un passaggio fino alla mia destinazione, perché la carta del Touring nella guida mi ha messo fuori strada. Giro degli angoli buissimi di Holland Park dove una gang appostata nelle fratte potrebbe ripulirmi completamente con un semplice sgambetto, finendo alle finestre della camerata dell'ala esterna dell'ostello occupata da ragazzini di scuola media francese che fanno a cuscinate. Bussando ai vetri non penso subito che potrei essere equivocato facilmente per un pedo-guardone, infatti arriva subito la proffa in vestaglia allarmata dai suoi studenti ai quali avevo chiesto come ca**o si entri dentro perché giro da 20' senza senso: le mie spiegazioni convincenti e l'aria stanca e provata che si dipinge sulla mia persona fanno però cadere i sospetti e grazie alle indicazioni della madame finalmente imbrocco l'ingresso, dove un receptionist rasta molto scostante mi spiega a mezza bocca che la tessera internazionale cartacea che ho io non vale in UK e perciò non mi può fare lo sconto. A denti stretti, con accento acetato, gli dico che sul Continente vale così e che il pezzo di carta che ho io è perfettamente equipollente, spostando vagamente la questione sulla diversità a tutti i costi dell'isola albionica e dei suoi regolamenti... al che tace e abbozza, un po' spaventato dalla mia reazione ferina, dettata dalla difficoltà della traversata, dal russo puzzolente, dai rumeni arroganti, da una camminata di 45' attorno ad un parco senza entrate.
L'ostello è ricavato nella vecchia Holland Residence, un casino di caccia (e di chissà che altro) di un potente Lord ammanicato alla Corona e completato nel 1607, cui sono state aggiunte un paio di palazzine stile anni '70. Il letto è composto da tre barette o cassettoni disposti ognuno con un angolo di 90° rispetto all'altro, nei cui anditi sono ricavati gli armadietti: il mio è quello più basso, rasoterra praticamente e meno male perché non saprei proprio come si possa salire sul più alto, visto che non ci sono scalette o appigli. Ci sono due giapponesi e un inglese che ronfano della grossa (è mezzanotte passata), ma non si sente afrore di umanità né russare. Good. Mi alletto come se dovessi entrare nel tunnel della TAC e, appena sento l'esile cuscino-presina sotto la testa, svengo dalla stanchezza.

L'indomani comincia il London Tour, più o meno "random". Nonostante tutte le indicazioni scritte e le piantine affisse, riesco a sbagliare clamorosamente treno nella metropolitana, accorgendomi però quasi subito dell'errore: approfittano del week-end per fare onerosi lavori di manutenzione, mettendo fuori servizio molte linee e limitandone altre. Ci vuole occhio e soprattutto orecchio agli annunci in banchina e in treno, sennò si rischia di finire verso Wimbledon pensando di andare a London Bridge...
L'isteria di cui ho avuto un assaggio sulla mia pelle in nave si palpa ovunque, sommessa, ma si avverte. Polizia ad ogni angolo (armata con fucili M pergiunta), cestini sigillati, specchi ad ogni angolo dei sottopassaggi per controllare che succede nell'angolo cieco, annunci ripetuti all'ossessione di "report anything suspicious immediately to members of staff".
Pure nell'immensa e gratuita Tate Gallery si ripete l'angosciosa pantomima dello zaino lasciato incustodito e del relativo security alert: un disattento continentale come me lo lascia dietro una balaustra per fare delle foto a dei quadri e immediatamente tre commessi di sala cominciano a chiedere affannosamente a tutti di chi sia. Segue cazziatone al malcapitato, a mezza voce, educato ma fermo, come da copione. La bellezza delle tele esposte e la pace che regna in queste sale mi fa rinsavire e alleggerisce anche la tensione accumulata in due giorni convulsi, il verismo pittorico vittoriano è wonderfoul: lascio parecchie sterline nello shop del Museo, ma ne vale veramente la pena.
All'uscita raggiungo London Bridge perché voglio visitare una mostra permanente sulla Londra del Blitzkrieg, i giorni in cui la Luftwaffe fece vedere i sorci verdi a tutti gli inglesi, ma mancano 40' alla chiusura e mi dicono che non visiterei tutto con la dovuta calma. Mi consolo affogandomi nella folla del vicino mercato, dove trovo persino un Ape onusto di prodotti calabresi, su cui risalta una nduja color rosso brace da far paura. Faccio merenda ad un "Support British food", un chiosco eno-gastronomico che fa parte di un circuito per il recupero delle tradizioni, dove prendo spiedini alla londinese conditi con senape della capitale, agrissima. L'heritage si esaurisce però in un menù di mezza paginetta: in quanto a cucina, i Britons hanno ben poco da dire...
Si sono fatte le quattro ed è giunta l'ora di un bel pub: me lo scelgo accuratamente, ce ne sono parecchi, ma non voglio finire in un glamour bar, preferisco intossicarmi in una bella sala fumosa con i sedili in velluto e una frotta di sfaccendati che guardano il pallone in TV. Eccomi accontentato: mi accomodo al bancone (enorme e circolare, con quattro blocchi di spine contrapposti), dove comincio con una "Carling" per tenermi sul commerciale, per passare poi ad una "Spitfire", heritage anch'essa. Sembra acqua di Tamigi ma è ottima. L'ostessa non vuole sentire ragioni da una coppia di americani che vogliono mangiare: sono passati 5' dalle quattro, la cucina è appena chiusa. Heritage anche il regolamento.
Un po' frastornato dalla birra in corpo e disorientato dalla fitta pioggerella shower che cade, prendo un autobus nella direzione che suppongo giusta, ma che si rivela ovviamente errata: stramaleddetta guida a sinistra, ancora non ho adattato il mio orientamento a questa pratica. E così finisco in periferia, quella vera, multietnica, very London. Sono appena salito sull'autobus che conduce in senso inverso, quando la strada viene sbarrata da vari veicoli della polizia, furgoni, moto e auto. Due bobbies salgono al piano di sopra, dove sto anch'io, e con gesto imperioso dell'antenna della radio ordinano a due ragazzini color caffellate e vestiti hip-hop di scendere "immediately". Segue un interrogatorio e una perquisizione sul marciapiede, cui assistiamo noi passeggeri assieme ai passanti della strada. Tutti sono agitatissimi sul bus, soprattutto gli immigrati: una ragazza dall'aspetto est-europeo mi confessa preoccupata l'andazzo dei tempi, però quasi contenta che lei non abbia avuto noie. Un lampeggiante blu crea un panico indescrivibile, di questi tempi e da queste parti.
Scendo a Trafalgar Square e mi metto ad aspettare l'heritage su ruote, un vecchio autobus rosso con la piattaforma aperta e il bigliettaio che salmodia le fermate (il famoso "RouteMaster") che fanno circolare su una linea del centro per tenere vivo l'heritage, of course. Faccio solo un paio di fermate, giusto per sfizio trasportistico, fino al capolinea di Oxford Street, gremita di gente, dove si sentono parecchi accenti italioti. Passo nel cortile delle Guards' Barracks, le caserme delle guardie della Regina, da cui si è affacciato un ufficiale vestito con una mantella azzurrina e una lunga crina bianca: bercia un paio di ordini, sbatte i tacchi e rotea la sciabola in aria per rilevare il picchetto di guardia di fronte alla caserma, per la gioia dei turisti, che impazziscono letteralmente. Passo davanti a Downing Street,
dove Blair si starà facendo un tè in completa tranquillità visto che la strada è blindata con enormi cavalli di frisia e con solide cancellate; giungo a Westminster, salgo sul ponte per vedere la torre ingabbiata del Big Ben, recito il copione del turista alla perfezione insomma.
Nonostante sia già buio, ma non si è fatto troppo tardi, decido di arrivare in metro ad Abbey Road per un omaggio beatlesiano, ma la pioggerella mi disorienta, la strada è lunga e semibuia, perciò non trovo il famoso incrocio dove i Quattro si fecero immortalare per la copertina di uno dei loro LP più belli: per la foto mi accontento di un attraversamento pedonale semaforizzato, tanto conta il pensiero!
È ora di coricarsi, o meglio, di svenire sul letto...

L'indomani mi sveglio con l'ora legale in vigore e i miei nuovi compagni di stanza che si preparano: sono degli ufficiali (o come si chiamano) dei Boy Scout, abbastanza bislacchi anche loro. Ancora non mi sento di fare colazione con bacon and eggs, forse domani, se avrò stomaco e coraggio. Prendo il 10 che fa un giro stupendo per Hyde Park, Marble Arch, Oxford Street fino a King's Cross Station dove sono salito sul treno su cui mi trovo ora: è molto affollato, c'è gente anche in piedi, poiché è l'unico domenicale per la West Coast. C'è vicino a me un tipo vestito di pelle con cane al seguito che si sganascia con un dvd sulle regine della commedia black e, fino alla stazione precedente, una giovane madre (ma quando mai al Nord le madri non sono giovani, cioè hanno poco più dell'età mia?!) con la figlia di 2/3 anni (appena salita mi chiede cortesemente di aiutarla a togliere le pile da un libro parlante della figlia per non disturbare...).
Ah, è passato il carrello dei refreshments e ho assaggiato finalmente il tè con latte, per non sembrare diverso agli occhi degli altri viaggiatori: non fa affatto schifo come temevo, anzi.

h 18,53
sul treno per Londra


Mi sono deliziato al National Railway Museum, una tappa obbligata per un trasportista, quasi la Mecca del trasporto ferroviario, che in quest'Isola è stato veramente inventato. Inutile dire che, al di là degli aspetti storici e delle questioni tecnico-scientifiche, l'esposizione è affascinante e veramente istruttiva per tutte le fasce d'età; quello che lascia un po' interdetti è che il livello di sviluppo del servizio non sia andato oltre i gloriosi anni Sessanta, quando la Union Jack era cool e Londra era "swinging". I treni ad alta velocità sono quasi tutti a trazione diesel, le porte si aprono con maniglie dall'esterno, in prima classe i tavolini sono sempre apparecchiati con un set da tè in porcellana bianca col monogramma della compagnia, i cancelli di ingresso ai marciapiedi vengono richiusi poco prima della partenza. La privatizzazione spintissima come neanche nel settore aereo o telefonico ha lasciato le sue ombre e non ha certo aiutato al progresso. Eppure non si può fare a meno della ferrovia qui. Nessuno può rinunciarci, anche quando i treni sono pieni al 120% (leggo sul Daily Express) su alcuni servizi pendolari. La regina regnante si è fatta costruire un treno reale nuovo per andare in giro per Albione e Carlo, che tenta malamente di studiare da erede al trono, si è fatto pizzicare dai giornali che tornava con un SUV (seppure a biodiesel) dopo un presenziamento ufficiale dopo aver sbandierato ai quattro venti di essere un utente del servizio su ferro.
Tutto il mondo è paese.
Il treno viene da Glasgow, un po' come dire un Napoli-Milano, sia per reciproci rapporti di forza delle città, sia in quanto a tempi di percorrenza: non c'è molta gente, molti sono business commuters, pendolari del business che scendono nella capitale, attempate signore in visita ai parenti, studenti che tornano da casa. La campagna inglese nel freddo tramonto è affascinante, assomiglia a quella toscana che sfila tra i finestrini tra Roma e Firenze, ma è meno curata della nostra, ha un aspetto vagamente romantico.
Tutto il mondo è paese.

27.12.07

Un Natale di pace...

Anche loro fanno a mazzate a Natale per motivi futili...

19.12.07

Global ahhhhhahhhhiomamama

Visto il successone della passata edizione, anche quest'anno ritorna l'orgasmo globale per la pace.
Partecipate numerosi... :P

16.12.07

Cornuti e mazziati

Sono appena scappato a gambe levate dal televisore sintonizzato sul programma di Fazio, dove era ospite il presidente del consiglio.
In tema di tagli ennesimi alla ricerca e allo scarso rendimento degli studenti italiani (soprattutto nelle materie scientifiche) certificato dall'OCSE, il presidente in questione ha sostanzialmente ribattuto che la colpa... è la nostra.
"Se io non ho il Paese alle spalle, che mi segue e si appassiona ai temi dell'istruzione e della ricerca, come faccio a migliorare le cose?"
Presidente, quello che dice è un'offesa alla nostra intelligenza.
Noi che abbiamo studiato, che continuiamo a studiare, che facciamo (tentiamo di fare?) ricerca, come possiamo appassionarci a questi temi quando siamo stati in scuole senza riscaldamento o malamente illuminate, quando ci siamo dovuti girare gli algoritmi a mano perché non abbiamo i calcolatori, quando apriamo una risma di carta provando un profondo senso di colpa come se stessimo sgozzando un agnellino, quando vogliamo fare e non ci sono mai gli stramaledetti soldi, quando rifiutiamo la proposta di un dottorato, nonostante la cosa proprio non dispiaccia, anzi...
Se ho studiato abbastanza educazione civica, sarebbe suo compito, dei suoi colleghi di maggioranza, di quelli dell'opposizione che hanno governato in passato e che rinfacciano a ogni pie' sospinto quello che manca sfoderando delle incredibili amnesie, di provvedere a che le cose cambino, che funzionino, che migliorino.
Non ci dica più di queste cose, almeno la domenica sera in prima serata. Meglio una salutare passeggiata, una birra con gli amici, un film in tv. Oppure pensare cosa fare lunedì per cambiare... ah, già, dimenticavo che la colpa è nostra, come non detto...

14.12.07

Shame on your crazy diamond

La storpiatura della famosa concept-song dei Pink Floyd è voluto.
Il crazy diamond è il nostro povero paese, un diamante di magnificenza barocca, completamente impazzito.
Nei giorni di fibrillazione di questo sciopero, la pazzia si è vista materializzata nelle lunghe code ai distributori, nelle strade semivuote, nel traffico lentissimo per risparmiare il decilitro di benzina (l'ho fatto anch'io, un altro po' soffiavo anche sul parabrezza per prendere un po' di velocità). Sembrava un misto fra le domeniche di austerity degli anni Settanta, in piena crisi energetica, e l'assalto preoccupato ai generi alimentari del dopo-Chernobyl.
Shame invece si prova leggendo un articolo imbarazzante del New York Times apparso ieri sull'edizione online del quotidiano della Grande Mela: "Il Malessere Italiano", il titolo.
L'incertezza nel futuro, il senso di impotenza, la voglia repressa di reagire e di fare, ma non il non sapere come e cosa fare per cambiare, il tema.
Tutto quello che si dice è spietatamente vero. I giornalisti americani hanno messo nero su bianco che l'Italia è un glamorous diamante pazzo e lo hanno fatto leggere ad un qualche milione di persone sparse in tutto il mondo.
Nell'articolo viene inquadrata, con testimonianze e cifre, una situazione in cui siamo e stiamo andando, che, oltre me, angoscia anche molti miei coetanei: nel diamante pazzo, chi ha già avuto e dovrebbe ormai mettersi da parte per sopraggiunti limiti di età (o di voracità), continua ad avere, a volere sempre di più e a restare ancora più a lungo. Quelli che vorrebbero e ne avrebbero titolo (ed età), non possono ottenere ciò che gli spetta chissà per quanto. Di ciò, tranne ai diretti interessati, non frega niente a nessuno. A chi dovrebbe importare, in realtà non importa una sega arrugginita, perché gli sta bene così.
E allora, che fare? Per ora "Shame on our crazy diamond".

5.10.07

To' chi si... sente!

Pescata nel mare magnum del web: il sito della voce ufficiale della metropolitana di Londra (solo alcune linee però, sennò era troppo inflazionata!)

Gli mp3 sono addirittura a pagamento: ora per quanto simpatica e forse pure arrapante possa essere la giovane voce che si sente nelle carrozze del tube, qual è il recondito ed ancestrale motivo per cui qualcuno avverta urgenza di pagare un pugno di pence per sentire sul proprio pc o nel player "This is a Circle Line train to Liverpool Street, via Paddington and Victoria: stand clear by the door."?!?

Ora sono io l'ingenuo?

Cut&paste, please:
http://www.emmaclarke.com/

20.9.07

Le stranezze di Albione


Gentili Visitatrici, Egregi Visitatori,

il mio ultimo post risale, abbastanza colpevolmente, al 21 aprile, Natale di Roma.
Nel frattempo ho avuto modo di fare una faticosissima ma quantomeno soddisfacente tesi di laurea, di prendere un pezzo di carta in ingegneria, di fare delle vacanze più o meno rilassanti, di cominciare a fare anticamere per i colloqui di lavoro e di farmi incastrare dal mio prof a lavorare all'univ, sia pure in maniera soft.

Nel stesso frangente, ho avuto modo di recarmi di nuovo in quella nebbiosa e muffosa isola quale è la Gran Bretagna e scoprire di formulare esattamente gli stessi pensieri di quando andai a marzo scorso e persino di quando ci andai coi miei per la prima volta dieci anni fa.

Nonostante la grande simpatia che nutro verso i sudditi di Sua Maestà britannica, penso sia semplicemente ora di proporre una petizione internazionale per ottenere l'omologazione di alcune cose allo standard mondiale.
Non parlo della tensione elettrica né delle spine di alimentazione, perché bene o male con un trasformatore e un adattatore la cosa funziona abbastanza liscia (insomma, il cellulare si carica in quattro secondi netti perché la tensione nominale è a 250 volt, ma accusa ogni giorno di più). Non parlo nemmeno delle unità di misura, perché tanto la pinta di birra ci sta bene così e tanto l'acqua in bottiglia la compriamo lo stesso anche se contiene 0,22 galloni imperiali: se la stazione dista 3 miglia, sappiamo che grossomodo ci aspetta una scarpinata di poco più di 4 chilometri e mezzo, ma sta bene così.
Non mi riferisco neanche alle affannose moltiplicazioni fatte davanti al cassiere quando cacciamo i fatidici pound dal portafoglio, o gli allunghiamo la carta di credito con nonchalance: tanto il colpo apoplettico arriva sempre sull'uscita quando ripeschiamo lo scontrino dal fondo della busta e realizziamo quale enormità abbiamo speso, oppure quando sull'aereo si comincia a fare pulizia di tasche e borse e i nostri occhi sbarrati e le apnee momentanee allarmano il vicino di posto.
Non parlo nemmeno della guida a sinistra, cosa che passa indolore dopo le prime 24 ore di permanenza sull'isola, dopo che si sono presi almeno due autobus sbagliati (perché si credeva andassero nel senso giusto) e si è rischiato di ornare il radiatore di un furgone attraversando in bici una rotatoria.
Non mi scandalizza nemmeno il fatto che quando si scende da un lussoso intercity Londra-Glasgow si debba abbassare il finestrino della porta, sporgere la mano e abbassare la maniglia e che sul marciapiede ci siano gli addetti alla chiusura di queste porte.
Non mi curo manco del fatto che anche l'ufficio arredato all'ultimo grido odori di legno verniciato e di muro ammuffito e che si aprano porte che hanno visto forse l'incoronazione di Giorgio VI con la chiave elettronica.

No, la cosa che mi sciocca psicologicamente e fisicamente è che tutti i rubinetti installati in quasi tutti i cessi di Albione siano del modello senza miscelatore, con le valvole separate per caldo (rovente) e freddo (gelido), come stanno a casa della mia bisnonna.
Passi tutto quello che ho detto prima, passino anche i rischi non latenti di infarto a causa di un'alimentazione insana e triste, ma non si può tollerare di prima mattina un lavaggio di ascelle e di faccia (peraltro supplementari alla doccia testé fatta causa cronica assenza di bidet, NdR) si trasformi in un contorsionismo orrendo, su un lavabo ad ellisse, piccolo e poco profondo, dove le mani devono essere passate con velocità sotto entrambe le cannelle per attenuare geloni o ustioni di II grado e per lavarsi con una minima decenza.
Sapete che cosa mi fa incazzare a bestia lassù? La presenza del misero tappo in gomma nera, ovviamente stradicato dalla cannella, messo lì nella pia illusione che, in un bagno di una camerata maschile di ostello, sia pure pulito, qualcuno possa pensare di tappare il lavandino e riempirlo di acqua tiepida per sciacquare la sua persona. Simply awful!

Miscelatamente vostro,
Herr Nikolaus

PS spero di riprendere a scrivere i racconti di viaggio, ho una bozza quasi pronta che devo pubblicare, non so però né quando né come.
I apologize for any inconvenient this may cause. :D
PS2 I apologize also per l'inutilità del post, ma mi stavo rompendo le balle...

21.4.07

FIP Tour marzo 07 – V puntata

h 14,10 (sulla Motonave "Stena Trader", appena fuori l'imboccatura del porto di Hoek van Holland)
H.v. Holland (NL) – Harwich (GB)


L'imbarco sulla nave è un vero e proprio check–in aeroportuale, ci caricano nella nave pure con un autobus, perché questo è un traghetto merci e non ha la passerella per i passeggeri: il garage della nave puzza tremendamente come un mercato del pesce a mezzogiorno, ci spiegano che nel viaggio precedente hanno sbarcato solo camion per il trasporto ittico. Per scusarsi della "provvisorietà" e della "inadeguatezza" (ai bipedi) di questa nave (parole testuali della brochure, ripetute all'altoparlante, ma la nave è fresca di revisione e come comfort dà una pista anche ai traghettoni passeggeri delle rotte vacanziere), la compagnia ci offre l'uso illimitato del buffet durante tutta la traversata. Prima buona notizia in due giorni un po' troppo movimentati.
Ci sono immigrati con passaporto britannico, camionisti inglesi, pendolari di lavoro e di vacanza (olandesi soprattutto) e un gruppo di ragazze londinesi multicultural e fashion–addicted (si va dall'afro–bling all'icy–Albionic type), oltre ad un paio di immancabili strani: un bizzarro con basco, onusto di borse che non fa che chiedermi informazioni a raffica e un pessimo che ha fatto incatenare dai garagisti un… triciclo enorme pieno di buste. Comincio a pensare che uscire dal seminato dei circuiti dell'ovvietà turistica aumenti la probabilità di incontrare bislacchi e forse dovrei pure cominciare ad annoverarmi nel conteggio.
Un vecchio inglese, con un parrucchino vistoso color mogano, mi chiede se gli passo il pepe: per poco non gli rido in faccia, sembra una spalla comica di Benny Hill.

Dicono che il mare a largo sia buono, da qui ancora non si capisce, siamo ancora sottocosta. È un concetto opinabile da queste parti?


h 15,23 (in navigazione)
Ho inconsapevolmente creato un security alert: l'aria di Inghilterra isterica e densa di paura dei bombaroli comincia a farsi sentire. Dopo aver preso freddo per un'ora sul cosiddetto "ponte sole" (ma de che?!?) a guardare la manovra di partenza, tornato al mio posto non trovo più né zaino né vecchietti olandesi cui avevo chiesto di darci un'occhiata. Il vecchio sbuca da un cantuccio e dice che, non avendomi più visto, si era preoccupato e ha portato la mia borsa al commissario di bordo per precauzione.
Questi mi fa un cazziatone, accusandomi di aver messo a repentaglio la sicurezza della nave: ricevo subito la mia prima lezione di civiltà inglese dai tempi della scuola, "don't leave your personal belongings unattended". Never!
Non credo scherzi il commissario quando mi dice che lo zaino stava per essere distrutto o gettato a mare, perché le nuove disposizioni di sicurezza lo permettono: si pente però dell'eccessiva e irosa reazione quando gli presento le mie scuse sincere (tra l'altro è olandese e la cosa lo tange non più di tanto, un briton mi avrebbe umiliato al microfono nel mezzo della sala): gli spiego che non avevo pensato che il 21/7 e il 7/7 — i due attentati, uno riuscito e l'altro fallito, che hanno cambiato per sempre il modo di vivere inglese — avessero seminato un'ombra schizofrenica del sospetto su chiunque e qualsiasi cosa, cui non siamo (per fortuna e speriamo ancora a lungo) abituati in Italia.
Istinto di conservazione, chi vivrà, vedrà. Povero mondo.

Lo shop della nave mi ridà il buonumore (quante volte l'ho scritto questi giorni?), perché è completamente driver–sized, dato che i camionisti sono i maggiori utenti: angolo tecnico con attrezzi vari; angolo accessori, fra cui spiccano un dito medio luminoso alzato da cruscotto e mutandine da appendere al retrovisore; angolo relax, una parete stipata di pornacci e una di stecche di sigarette grandi come confezioni famiglia di tovaglioli di carta.
Il mare è forza 4–5, increspato al traverso, ma la massiccia "Trader" lo sta tenendo benissimo, sembra di stare in treno.

h 17,54 GMT (da qualche parte nel mare del Nord meridionale, a 3/4 di rotta compiuta)
Mi sto rompendo le balle perché il salone è scomodo per chi vuole accucciarsi un po' in pace, ci sono dei divani favolosi ma sono nella zona fumatori, una giovane coppia mediorientale lascia piangere i figli piccoli finché si strozzano con il loro stesso pianto e ho sonno, tanto maledetto sonno…

Ho comprato un blocco per gli appunti allo shop (ma senza donnine discinte sopra), ho preso un cappuccino al buffet (ottimo, difatti la macchina è italiana), fatto due passi per sgranchirmi, visitato due volte il vespasiano, regolato già l'orologio sul GMT, presa una sincope nel leggere il cambio €–£ (da spezzare le gambe, 1€≈0,67£).
Il sole sta scendendo, il mare sembra più calmo. Di Albione ancora nessuna traccia all'orizzonte.

PS: tanto per dire qualcosa e togliere gli occhi dall'orologio (sei ore di navigazione sono pesanti), ho capito perché in Olanda tutti, ma proprio tutti, parlano un impeccabile inglese, vecchi compresi. I programmi tv provenienti dall'estero sono solo sottotitolati, non doppiati, siano film, documentari o chissà che altro. In tutto sono 16 milioni di persone, il territorio è grande due volte la Toscana, il complesso d'inferiorità è sempre in agguato: la lingua sta cominciando ad incorporare ed assimilare inserti anglici, ma ho visto che anche nella ritrosa e fiera Germania, la difficoltà della lingua attributiva sta incoraggiando l'utilizzo di comode scorciatoie linguistiche made in UK. Da anni se urtate una persona sul tram ad Amsterdam o volete sapere come si arriva alla Techno Parade di Eindhoven, dovete rivolgervi con un anglicissimo "Sorry!?", non c'è altro.
Il telefonino viene chiamato dai teutoni "Handy", il capo, il direttore di qualsiasi cosa è sempre lo "Chef", ma questo è soprattutto per evitare di dire "Führer"… persino gli annunci sui treni a lunga percorrenza sono in tedesco ed in inglese, cosa impensabile prima del Mondiale.

Noi quale occasione avremo mai per internazionalizzarci seriamente, che non vuol dire appecorarsi passivamente alle manie e alle mode esterofile (vedi il ridicolo cablaggio Wi–Fi a villa Ada, scimmiottato da Central Park di NY, che però — a differenza del parco romano — è frequentato da lavoratori in pausa pranzo che devono usare i loro palmari; oppure il tanto sbandierato Welfare–State alla svedese o all'americana, a seconda del vento), ma invece assumere coscienza che le lingue sono importanti, che vanno insegnate veramente a scuola, che bisogna cedere su qualcosa del patrimonio linguistico per avere altro in cambio sotto altra forma e non finire come i francesi che non tollerano di aver inventato loro la parola "informatica" (INFORMAtion AutomaTIQUE) e di non aver avuto seguito alcuno nel lessico informatico, per cui il computer rimarrà sempre e comunque "ordinateur". I lessici tecnici non li fanno gli uomini, li fa il mercato, nel bene e nel male. Insomma, dopo aver avuto un Giubileo, un'Olimpiade invernale, la morte di un Pontefice, quando finalmente si sentirà un vigile urbano rispondere in passabile inglese ad un turista o un liceale non fare spallucce se gli chiedono "sorry, how can i reach the Coliseum?". O un ingegnere non rimanere allibito di fronte ad un rapporto tecnico in inglese.
L'Europa è quasi a 30, tocca svegliarsi!

PS2: La7 l'ha fatta grossa. La sigla del PuntoTG è presa di peso dal notiziario BBC (o viceversa?)… possibile?

19.4.07

FIP Tour marzo 07 – IV puntata

22/3 h. 21,40 (all'ostello "Rotterdam City")
Leiden–Rotterdam


I nuovi compagni di stanza sono molto tranquilli per fortuna, sono dei piemontesi che lavorano ad un cantiere di condotte in Provenza.
Dopo colazione ancora saluti festosi della classe milanese che riprende la via di casa: la giovane grata mi chiede consiglio per un regalo al padre, che non sia erba o un pornaccio estremo… vi verrebbe da dirle che il padre sarebbe ben più contento di questi doni, rispetto alla cravatta coi tulipani che ha adocchiato in vetrina, ma non ho il coraggio di raggelare tanta beata innocenza, soprattutto dopo che sono assurto a ruolo di mentore…

Leiden, Leida per noi, "dove Rembrandt trovò la luce" dice un enorme poster su un palazzo, è una deliziosa cittadina che mi accoglie con folate di vento gelato, ma senza puzza bovina come in Frisia: il sole è però caldo (se si cammina) e oggi non sembra tirarsela troppo.

Vado subito al museo Boerhaave (dal nome del clinico Herman) da dove esco meno ignorante di prima, come mi succede da una settimana a questa parte. È un tipo di museo assolutamente tabù nel nostro Paese, perché tratta nientemeno di storia della scienza, in maniera didascalica ma soprattutto interattiva: la dimostrazione — ancora una volta scioccante — me la danno tre scolaresche di prima–seconda elementare che fanno una specie di caccia al tesoro assieme alle loro maestre, armati di materiale didattico. Gli esperimenti che fanno nelle sale sono tremendi (uno sulla diffrazione della luce non mi riesce nemmeno a l terzo tentativo, nonostante svariati anni di corso di Ingegneria, per fortuna i piccoli non sono a tiro): prendere il punto con un sestante (vero) e controllare il risultato (4° e rotti, a me venivano 22°…), fare 12x35 col regolo calcolatore (non mi ci sono applicato nemmeno) o estrarre un nascituro con una coppia di forcipi da un manichino (questo mi riesce al primo colpo, che abbia sbagliato tutto nella vita?!?). I futuri non–terrorizzati–dalle–scienze li verificano subito con un piccolo test a crocette, che discutono con la maestra, sempre democraticamente, con alzata di mano e con tono di voce mai esuberante, nonostante la concitazione del momento.
Mi esce un secondo "e che cazzo!" alla Sordi quando scopro che col biglietto ho diritto ad un caffè e ad un quadratino di torta al cioccolato.

Pranzo ancora in panetteria con dei tavolini, dove la commessa al bancone porta la roba che hai ordinato e che ha riscaldato in forno: il gracchiare e i raschiamenti di gola (fonetici, intendiamo, non catarrosi) con cui mi esibisco in pubblico mi danno l'illusione di parlare olandese i loro frutti e la commessa mi lascia indulgere con tatto nella mia illusione.

Nel pomeriggio arrivo a Rotterdam: è la prima volta da quando sono partito che per vedere una faccia bianca con occhi azzurri impiego cinque minuti. Ed è la prima volta che vedo in Olanda 2, 3, 5, 7 pattuglie della Politsie a piedi, in moto, in bici, in furgone per le strade: qui c'è lo spaccio di roba pesante più grande di tutti i Paesi Bassi, i tassi d'immigrazione più alti del paese, il più vasto assortimento in tema di sollazzi della carne, per via dell'animatissimo porto merci.
L'immigrato si fa sempre notare, ovunque si trovi e qualsiasi cosa faccia: urla, assume un'espressione truce ed incazzata anche con gli amici, spara tuz–tuz a palletta in macchina… è la non rassegnazione ad accettare o la volontà di distinguersi? Tutto si può dire, però, tranne che l'immigrato venga maltrattato in Olanda.

In stanza capisco che stanotte si avrà un bis della notte trascorsa: entra un bruto dell'Est, visibilmente stanco, puzzolente all'inverosimile, che si butta a peso morto sul suo letto e praticamente sviene, non si addormenta. La roba degli altri, sparsa nella stanza, mi ricorda preoccupantemente la bagaglia dei rumeni di Haarlem.

Doccia e poi giro al porto vecchio: il vento quasi ti fa cadere e perciò l'Erasmusbrugse lo vedo da lontano.
R'dam è un laboratorio di urbanistica a cielo aperto: si è fatto, si fa e si farà di tutto e di più, ancora di più che a Berlino.
Arrivo in metro a Delfshaven, da cui i Padri Pellegrini partirono alla volta delle Americhe e celebrarono l'ultima messa prima di salpare col Mayflower (non si sa mai…).
Non ho fame per niente, mi prendo una polpettona di carne e un goccio di birra in un café bruijn (il tipico pub olandese), poi me ne torno in ostello.

Che mi aspetterà su quando torno in camera? Speriamo che i tappi di gomma che mi ha dato la receptionist servano a qualcosa.


23/3 h. 9,33 (ostello R'dam City)
R'dam—H.v. Holland

I tappi dovevo mettermeli nel naso, altro che orecchie…
La xenofobia è ai massimi storici, purtroppo.
Il russo, quello svenuto dal sonno puzzava in una maniera invereconda, sono inutili le contromisure adottate, come spalmarmi il deodorante sulle mani e sul naso, tenere il finestrone aperto, respirare con la bocca: mi sveglio a tratti durante la notte per l'insufficienza respiratoria. Mi viene la tentazione di lavarlo con una manichetta antincendio nel letto e svuotargli addosso un estintore e di rompergli in testa la bottiglia di Jonver (il gin olandese) che ogni tanto sento sorseggiargli.
Alle cinque i tre rumeni accendono la luce della stanza e cominciano a parlare e a scherzare ad alta voce.
La misura è colma: "E basta, aho', e so' 'e cinque!!! e 'nnamoo su, spegnete 'sta cazzo di luce!" è la mia romanesca reazione, per dare peso alle parole, cui segue un cortese "Vai a fare culo in Italië" dal basso.
Attacco un battibecco in inglese con il più giovane, che non vuole saperne di accendersi la luce del letto, perché "devo andare a lavorare". Non insisto, sono di più e forse pure col coltello. Li mando a cagare a mezza bocca utilizzando le più fetide espressioni del dialetto quirite e partenopeo. Alla reception, prima di colazione, vado a fare un comizio costruito ad arte, toccando tutte le corde più sensibili del sentire olandese, vale a dire l'accoglienza ma il rispetto, da parte dell'accolto, delle regole dell'accogliente.

Loro sono come noi italioti che sbarcavamo ad Ellis Island o che riempivamo i cantieri di Düsseldorf: i Mimì della prima ora hanno però vissuto in baracche, in case in otto persone, guai se avessero messo piede in un ostello della gioventù, come minimo gli avrebbero rotto la testa e poi appiccicato sulla fronte un foglio di via, come un pacco.
Mi rendo conto che straparlo, anzi strascrivo (forse), è la mancanza di sonno e l'intrinseca ed estrinseca complicazione del mondo che mi rende nervoso e insofferente, specie dopo che sono stato mandato a fare in culo nella mia lingua da uno staniero che pretende di avere ragione, pur essendo nel torto, in casa d'altri.

Meno male ci sono una signora olandese che, come ieri sera, mi chiede delle cose che non capisco assolutamente e un van Gogh, rubizzo e con la barba rossastra, che mi tirano su il morale al solo guardarli.
Mi accuccio nella silenziosa sala TV a guardarmi il mitico meteo della BBC e le cretinate della MTV made in Holland (praticamente solo sottotitolata): tra un po' vado ad imbarcarmi per Albione al porto di Hoek van Holland.
PS: il giornale di oggi dice che sabato gli Orange giocano contro la Romania. Spero gli facciano il culo a strisce! Oranje boven!

(continua)

15.4.07

FIP Tour marzo 07 – III puntata

Prae Scriptum:
Dedico queste note ad un altro viaggiatore, un alpinista che non è riuscito a scendere dalla montagna e a tornarsene a a casa.
Non lo conoscevo bene, l'ho visto quattro o cinque volte, non ho scambiato chissà quali discorsi profondi, non ero legato a lui da chissà quale profonda amicizia, però sono rimasto turbato quando ho saputo che una persona che ho conosciuto, con cui ho cenato, parlato e scherzato è morto precipitando in un canalone di una montagna.
Riposa in pace, F.



21/3 h. 9,04 (sul treno per Leeuwarden)
Utrecht–Leeuwarden–Alkmaar–Haarlem

La notte trascorre tranquilla (e meno male…), giusto la scure della finestra seicentesca non si chiude perfettamente e lascia passare una lama di luce che alle 5 sono sveglio, ma riesco a portare avanti un dormiveglia per altre due ore, poi mi alzo e mi preparo. Praticamente mi lavo e mi sbarbo in vetrina, perché le finestre della camerata (in cui c'è il lavandino) sono enormi e la strada che ci separa dall'edificio davanti è stretta: per fortuna non esce nessuno, ma io avrei fatto finta di nulla ugualmente, perché da queste parti usa così. Beate quelle terre che pongono la privacy in cima al vivere civile…
A colazione entro assieme ad un cieco (o almeno presumo tale per l'occhiale scuro e i gesti impacciati, comunque sicuri) che somiglia molto a Giobbe Covatta.
Il giornale free–press che trovo sul sedile in treno titola trionfale su tre colonne "De lente is begonnen!" (È cominciata la primavera!), e una foto di agnellini appena nati e di tulipani in fiore campeggia nelle pagine interne. Fanno 11°, tira un vento gelido, anche se c'è un bel sole…e vabbè…
C'è anche un trafiletto su un'operazione anti–camorra ("de Napolitaanse tak van de Maffia")… e vabbè…
Le previsioni annunciano tragedie giusto quando dovrò attraversare il mare del Nord in traghetto… e vabbè…
Il carrello dei beveraggi e degli snack su questo Intercity è stato incorporato nel venditore che porta tutto l'occorrente in una specie di grosso zaino, ai cui lati sono impilati i bicchieri di carta per le bevande calde: non voglio però sapere da dove cacci tè o cioccolata calda…
Il programma di oggi è abbastanza folle e non poteva essere altrimenti perché da me ideato: i punti di partenza e di arrivo (Utrecht ed Haarlem) distano una ventina di minuti di treno, io ci metterò quattro ore e mezza, disegnando un enorme ferro di cavallo che passa per Leeuwarden, il capoluogo della Frisia, la grande diga di contenimento (Afsluitdijk) ed Alkmaar.

22/3 h. 10,23 (sul treno per Leiden)
Haarlem–Leiden–Rotterdam

Ieri, appena scendo dal treno a Leeuwarden (o Ljouwert, in frisòne), vengo investito da un terrificante puzzo di stalla che riempie l'aria, sia pure spazzata da un vento molto freddo: mi viene da malignare che non potrebbe essere altrimenti, dato che la Frisia, di cui questa città è il capoluogo, è la patria della mucca da latte più produttiva al mondo, la frisona pezzata bianca e nera, capace di una media di 30–35 litri di latte al giorno.
Al Museo di Frisia, nel centro cittadino, però nessuna menzione sulle glorie ruminanti. Mi viene però il solito senso di vergogna per come siamo capace di violentare il nostro patrimonio culturale.
Qui la storia di questa gente fiera e solerte, che, agli albori della storia dell'umanità, ha costruito dei montarozzi fangosi artificiali (le terpen) per stare con i piedi asciutti, ha organizzato gli unici due scioperi generali e le attività di guerriglia clandestina durante l'occupazione nazista, ha rotto le palle, ma con educata e democratica fermezza, alla Casa reale dei Nassau per essere riconosciuti come regione indipendente, senza però approdare ad alcunché, viene raccontata in addirittura due edifici affacciati l'uno all'altro, collegati da un tunnel sotterraneo: tutto è pulito, ordinato, comprensibile, anche se in alcune sale mancano le didascalie in inglese. I nostri musei che raccontano storie ben più complesse e custodiscono tesori ben più pregevoli dei vestiti della spia–zoccola Mata Hari, altra gloria locale (cimeli storici interessanti, intendiamoci) sono sporchi, disordinati e incomprensibili. La domanda è sempre la stessa "ma perché?" Chissà…
Ma non ho molto tempo per rimuginarci sopra, perché si sono fatte quasi le due e l'autobus che porta ad Alkmaar parte ogni ora e devo scarpinare di corsa verso la stazione mangiucchiando delle pizzette e dei panini che ho preso in panetteria, assieme all'immancabile succo di mela, con cui mi sto drogando di brutto.
La linea percorre interamente la diga di sbarramento aperta nel 1932, l'opera principale all'interno dei grandiosi lavori di sottrazione delle terre all'acqua di quegli anni, di cui l'ing. Lely fu il grande artefice: a lui è dedicata la più recente città olandese, sorta nel '53, Lelystad appunto, dove — mi informano ancora i giornali free–press — è stata celebrata la giornata mondiale dell'acqua.
L'autobus marcia sonnolento sulla diga, 32 km in tutto, fa due fermate in circa mezz'ora, l'autista si attiene scrupolosamente ai limiti, 90, poi 70, spesso anche 30 nelle zone di attraversamento di piccoli borghi. C'è qualche studente che però scende quasi subito, una madre nera con bambina, una ragazza che prima di arrivare si trucca forsennatamente (forse per il ragazzo) perché ha dormito tutto il tempo. L'unico che desta curiosità perché onusto di bagagli sono io.
Ad Alkmaar però mi mancano le forze per farmi un giro in città, che è abbastanza lontana dalla stazione: decido di proseguire subito in treno per Haarlem e farmi un bel giro nella città olandese che preferisco su tutte. C'è anche il tempo per rimanere "scioccato" dalla gentilezza di una ragazzina che, vistomi in difficoltà con zaino, bagagli e lattina di aranciata, mi offre il suo aiuto per scendere qualche cosa per le scale del sottopassaggio… la ringrazio a mezza bocca con espressione ebete, sono rimasto veramente sorpreso dalla cosa…

Ad Haarlem trovo in camerata un salernitano che lavora a Basilea, venuto da queste parti per canna–turismo, e quattro marmisti rumeni che lavorano ad un cantiere qui vicino. La zona loro, in cui sta il mio letto, è un mezzo suk: c'è una cassa di birra già ammezzata, una cestina di cipolle aperta, generi alimentari vari, panni sparsi ovunque.
Ancora non sono tornati quando esco per andare a cenare in centro dall'arabo al Grote Martkt, dove mi rimpinzo di kebab alla piastra e patate fritte.
Quando torno li trovo tutti quanti che si stanno mettendo a tavola: sono sulla quarantina, uno solo, il più anziano, parla inglese. Li lascio fare e mi metto un po' sull'internet a gettoni: dopo un po' arriva Luc, uno dei marmisti, che mi fa capire a gesti di voler mandare una mail alla figlia. Caccia un'agendina nuova ed intonsa, regalatagli per l'occasione penso, piena di numeri e indirizzi mail: fatico non poco a spiegargli a gesti, metà in italiano e metà in francese totoesco confidando nell'universalità della lingua romanza che la mail non è a risposta immediata e che poi domani io me ne vado e perciò non può leggersi alcunché.
Il mito del buon selvaggio comincia a prendere sostanza: gli apro un account mail, tento di insegnarli qualche rudimento di navigazione, mentre un suo compare ridacchia quando confronta me che ticchetto agilmente sulla tastiera a due mani aperte e Luc che con l'indice teso cerca un carattere alla volta sui tasti. Sono diventato il passatempo della serata, sono tutti frizzi e lazzi, partono sboccate considerazioni sulla prosperità fisica di Nadia, la figlia di Luc, accompagnate da gesti prorompenti e fischi goliardici.
In mezzo a sto bailamme, si leva una voce di ragazzina italiana: "E basta! Girati! Non mi devi fissare, hai capito?!?"
C'è una scolaresca di terza media di Milano e una delle studentesse rimbrotta il paffuto marmista coi baffetti che la fissa intensamente alle mie spalle. Intervengo e tento di calmare l'esagitazione giovanile, ma lei mi dice che prima le ha appoggiato una mano sul sedere, abbaiando per giunta. Mi sta per partire una risatona, però devo mettere le cose in chiaro: faccio capire a gesti e a parole chiave al rumeno che sono minorenni, che se i professori italiani chiamano la "polìs" loro se ne tornano in Romania di corsa.
La tonda faccia del rumeno paffuto diventa bianca dallo spavento: la prospettiva di tornare a casa senza soldi dalla moglie, con una querela appresso, gli calma i bollenti spiriti di colpo. La nera prospettiva ha un effetto calmante anche sugli altri, che smettono di fare gli inopportuni con le ragazzine.
Quando è ora di mettersi a letto cominciano le dolenti note di convivenza multi–etnica: le lattine di birra partono a coppie e triple, è un continuo "pftssss" di linguette di metallo che si aprono (ne conto 7), di chiacchiere ad alta voce nonostante abbia creato un oscuramento strategico notturno per fargli capire che è ora di coricarsi. Solo alle 23 si spegne tutto e si dorme.
Almeno riesco a fare così fino a mezzanotte e mezza quando urla e strepiti nel corridoio mi svegliano di colpo: stavolta sono i liceali francesi — molto scostanti — che vanno a sfumazzare i loro souvenir d'Amsterdam. I tentativi di riprendere subito sonno si volatilizzano all'istante perché la cestina di cipolle sotto il letto e gli avanzi di cibo mandano un odore grave, cui si mischia l'alito di birra dei dormienti e, soprattutto, il loro feroce russare. L'aria è un cubo di soluzione esausta. Le pareti tremano sotto i colpi delle russate violente sincrone e asincrone dei lavoratori sfranti dal duro compito in cantiere.
Però io voglio dormire! All'una chiedo di cambiare camera in reception e mi piazzano al piano di sopra: il trasloco avviene in un lampo a lume di torcia (in bocca) e nel salottino dell'ingresso, dove mi fermo a radunare le mie povere cose, incontro la piccola milanese che ho difeso dalle bramosie del bafometto pannonico, la quale comincia a versare gratitudine e riconoscenza, dandomi del "lei", come pure fanno le amiche chiamate a raccolta, quasi fossi una personalità.
Un'occhiata di un loro prof di passaggio mi incenerisce pensando chissà che e manda tutte a letto: sono troppo stanco per chiarire e me ne vado in stanza pure io.

4.4.07

FIP Tour marzo 07 – II puntata

mart. 20/3 h. 10,07 – (sull'ICE per Utrecht)
Colonia–Utrecht


Ormai ho sviluppato un settimo senso per le persone: capisco al volo che tipo ho davanti, prima ancora che apra bocca.
Più volte mi sono detto — peccando di modestia (falsa) ed esagerando in xenofilia (vera) — di starmi zitto, di non essere infallibile, che la prima impressione non è quella che conta.
Dopo stanotte mi ricredo e mi pongo sugli altari, giudice supremo del bene e del male umano, delle miserie e delle virtù altrui: il mio settimo senso funziona ormai al 98,999% e gli eventi grotteschi appena occorsi lo dimostrano.
Dissi che il nuovo arrivato era "strano". Allora, io mi alletto alle undici, verso mezzanotte tornano gli yankees, però capiscono che dormo e quindi fanno pochissimo rumore, non accendono tutte le luci.
Alle 4 comincia il delirio. Torna lo strano e accende invece tutte le luminarie, sbatacchia le porte, si spoglia completamente e si mette nel letto, il mio sonno è messo gravemente a repentaglio. Dopo un po' sento che qualcuno in stanza comincia a grattarsi sotto le coperte come quando le zanzare banchettano con la nostra epidermide ad agosto, solo che il grattare continua per minuti interi, senza interruzione. Io che penso sempre male comincio a sospettare il peggio, ma scaccio il pensieraccio dall'anticamera del cervello. Il rumore comincia ad assumere cadenza regolare e si frammischia una respirazione sempre più grave ed affannata. Non voglio credere a quello che sento, perché ormai è chiaro che qualcuno sta praticando autoerotismo. Oh, Madonna, ma tutte a me capitano?!?
Girandomi verso il centro della stanza, pur nella nebbia della mia miopia, vedo distintamente lo strano, nel letto superiore parallelo al mio — per fortuna lontano — che se lo mena con vigore. Non ci credo, ma purtroppo è vero. Vabbé, astinenza, diciamo così, una gliela concedo, passi. Però arriva al dunque altre due volte: lo yankee oxoniense si alza perché deve prendere l'aereo presto e accende la luce dell'ingresso e la scena si rischiara in tutta la sua miseria perversa.
Che fare? Il dubbio che fece vergare a Lenin parecchio inchiostro e gli tolse il sonno per parecchie notti dopo la Rivoluzione, si affaccia anche da me: urlo? Lo minaccio? Accendo la luce e urlo e lo minaccio? Scappo alla reception e — come ha insegnato Frau Kunzemann, la proffa di tedesco — sfoggio il terrificante vocabolario accusatorio tedesco, calcando gli accenti dei prefissi e parlando con l'indice teso?
Alla fine faccio un po' di tutto: in inglese, perché non so di dove sia, urlo di piantarla con questo schifo e gli prometto di farlo cacciare a calci nel culo (nudo, vorrei aggiungere, nel freddo gelido di Colonia). Raccoglie il coso fra le mani, con falso pudore, si copre e si gira dall'altra parte, di scatto. Sono le 5, si è spippettato per ben 45' continuativi… una cisterna!
Mi forzo di addormentarmi dritto sul letto, col cuscino dietro le spalle e con un occhio aperto, come un sentinella di una trincea sul Carso, non si sa mai. Alle 6,30 finisce un sonno epilettico e decido di vestirmi, lavarmi (ma nel cesso della reception, perché mi fa schifo toccare persino il pavimento) e squagliarmela. Quando torno in stanza trovo Maurizio che disfa l'armadietto di corsa e mi accoglie con un incredulo "unbelievable!!: il merdoso ha ricominciato di gran carriera, via in tutta fretta.
Dopo averne dette quattro alla reception andiamo a fare colazione. Ci ridiamo anche su, ma siamo entrambi a pezzi: io ho le gambe pesanti e dolorose dal poco sonno, lui è sfatto e scioccato. "It happens" ci rassegniamo entrambi.
Tanto è il trauma che alla stazione di Colonia mi stava per partire il treno per Amsterdam sotto il naso. È zeppo di giapponesi, manager che vanno a Düsseldorf o Duisburg — le tristissime città–fortezza del sistema industriale tedesco —, sono pochi quelli che vanno in Olanda.
Il cielo è velato, sole a sprazzi, ma non convince. Ad Emmerich, subito dopo la frontiera, la prima cosa che vedo è un bel mulino a vento e mi torna il sorriso.

h 21,50 (all'ostello "Strowis", Boothstraat, Utrecht)
Utrecht è una città bellissima, con i soliti canali marroni, le strade acciottolate con mattoni rossi, gioventù bionda o rossiccia in bicicletta, vento freddo che sbuca da un angolo all'improvviso e sembra voglia buttarti per terra (il Duomo venne addirittura sradicato dalla furia di Eolo nel Seicento), le campane del carillon che suonano una melodia diversa ogni quarto d'ora.
L'ostello che ho scelto non appartiene al circuito HI internazionale, è gestito da ex squatters nella vecchia sede dell'ACI locale: è dunque un esempio di negoziazione urbanistica molto interessante, di do ut des profittevole che salva le apparenze e fa contente entrambe le parti. Quando lo sgombero si faceva sempre più vicino, gli occupanti decisero di prendere questo palazzo seicentesco di tre piani, di ripulirlo bene, di metterci mobilio demodé e di farci un ostello accogliente e confortevole, salvaguardando anche l'etica degli ideali tenendo in piedi un centro di attività politica poco lontano, una specie di centro sociale però pulito, come ho visto passando da fuori.
Prima di entrare al Museo degli Organetti da Strada e delle Macchine musicali (ebbene sì, esiste anche questo) cedo al diavolo tentatore neerlandese sotto forma di "vlaamse vrieten", un cartoccio medio di patate e maionese che è il mio pranzo assieme ad un milk shake alla banana. Il museo raccoglie gli esempi di quanto la tecnica sia perniciosa e ossessiva: ai tempi in cui non c'erano lettori mp3 e sì e no girava qualche disco per grammofono, per riempire le serate dei café e dei bistrot, più o meno malfamati e fumosi, alcuni artigiani e tecnici (fra cui parecchi ingegneri…) si sono attrezzati nel tempo per creare macchine che suonino canzoni in automatico, mediante dischi o nastri di carta perforati. Ecco dunque la spaventosa Violina o l'organetto da tavolo a manovella per insegnare a cantare all'uccellino nella gabbia in salotto. Ci sono parecchi strani, vecchi male in arnese, vestiti peggio, con due occhiali sul naso, che ricordano i bei tempi andati dei Pierements, i pesanti organi meccanici da strada, che tanta fortuna ebbero nei Paesi Bassi in virtù del piattume del territorio.
Dopo ciondolo un po' per le vie del centro, mi impolvero in un sotterraneo enorme zeppo di libri da un rigattiere "De Arm", che è un'istituzione per il bric–à–brac e le cianfrusaglie, visto che ha altri due negozi tematici, uno di mobilia, l'altro di articoli di casa e di hi–fi d'epoca. Non posso non uscire senza aver comprato qualcosa, il richiamo della carta stagionata è micidiale. E così è infatti. Ma dove li metterò più 'sti libri?!? penso mentre mi appennico in stanza.
Dormo per un'ora e mezza, una bella doccia e poi via a mangiare, perché sono già le 19,15 e qui tra un'ora l'unica cosa aperta è BurgerKing o qualche mefitico arabo (anche se la tentazione di kebab è forte).
In un locale sci–sci spendo poco perché prendo i piatti della tradizione, zuppa di pomodoro e involtini di formaggio brie nel prosciutto. Giretto digestivo nel centro deserto e poi nell'enorme centro commerciale Catherijnhof, che attraversa praticamente tutta la zona centrale sbucando alla stazione: la guida Lonely Planet come al solito esagera come solo gli yankee sanno fare ("un centro commerciale claustrofobico, da far venire l'ansia"… ma gli shopping mall non li hanno inventati negli USA?!?) e la voglia di buttarla nel cesso una volta buona è grande. Tanto per fare un dispetto ai due idioti della guida, mi viene voglia di andare a cinema, visto che in Olanda i film stranieri sono sottotitolati e rimangono col sonoro originale, ma col sonno che ho non ho le forze per affrontare una impegnativa visione in lingua estera, neanche fosse Ben Stiller (che comunque avrei snobbato).
Dunque ritorno all'ostello, dove c'è un gruppo di quaaa (leggasi: mediorientali) che preparano un tremendo stufato di montone nella cucina comune e poi giocano a backgammon bevendo vino (che siano siriani maroniti?).
Io leggo, scrivo cartoline e mi faccio venire sonno. Mi convinco sempre più che la legge Sirchia sia una delle poche leggi dello Stato italiano degne di valore che qui non esiste e neanche in Germania, anche se leggo in giro che si stanno preparando decreti molto simili. Nel frattempo i miei vestiti gridano vendetta.

3.4.07

FIP Tour marzo 07 – I puntata

sab. 17/3, h 22,15 — Roma–Basilea (sulla Direttissima tra Arezzo e Firenze)
Nello scompartimento da 4 cuccette c'è una coppia di giovani Mimì, lei nata in Svizzera, commessa, lui più in carne, della provincia di Avellino, di professione giardiniere: mangiano in silenzio, come solo uno svizzero vero sa fare, una "colombra", il tortone intoppante di Pasqua. Ogni tanto parte la suoneria a palletta "La testata di Zidane": "era Filomena…"
Arriva il conduttore, elvetico come il vagone, che parla con un sinistro accento italiano alla Villaggio ("puonazeeraa! I pilietti, pé fafoore… peenee") e ci ammolla il modulo giallo delle dogane svizzere che vuole sapere vita morte e miracoli in 20x40 cm. I due Mimì ci mettono dieci minuti buoni, si consultano frequentemente, c'è qualcosa che li turba: poi sento farfugliare "allora… salsicce… due forme di caciotta… no? c'è altro?". Sorrido impercettibilmente, fingendo di guardare fuori.
In corridoio risuonano accenti dell'agro aversano e del frusinate, segno che i Gästarbeiter (quasi un nome parlante omerico, "lavoratore ospite", vuol dire vieni, lavori, ma non rompi i coglioni) tornano ai posti di lavoro, d'altronde è sabato sera.
La suoneria di Zidane squilla gloriosa altre due volte, poi si acquietano, lui nel sudoku, lei in "Eva Express", che sfoglia con controllata avidità ed evidente soddisfazione, segno che il gossip svizzero non è così allettante!

dom. 18/3, h. 10,48 — Basilea–Colonia (sull'ICE tra Karlsruhe e Mannheim)
Notte tranquilla, veglia a tratti come al solito, ma la carrozza è morbida e confortevole e non si balla troppo. I Mimì dormono fino alle otto, io alle 6,30 sono ben desto e alle 7 mi appiccico al vetro a vedere il treno che si arrampica sulle rampe del Gottardo, facendo tanti cerchi a spirale per guadagnare pendenza: una volta scesi a valle, guardando il fianco della montagna, si vedono i convogli che sbucano a quote diverse che procedono nello stesso senso di marcia.
Attacco bottone con una studentessa dell'Accademia delle Belle Arti di Basilea che torna con compagni e prof. da una lunga gita a Firenze, di cui si dice soddisfatta ma anche estenuata. Lei è di origini serbe ma è nata ad Olten, vicino Basilea, e mi racconta le vicissitudini ogni volta che va a fare i documenti, perché non è naturalizzata. Deve fare le foto bio–morfometriche per i documenti, cioè di fronte, di tre quarti con l'orecchio scoperto e di profilo, come quelle che Lumbroso scattava ai suoi soggetti di studio, perché un marocchino le ha sfilato il portafoglio a Ponte Vecchio, una mezz'ora prima di prendere il treno: souvenir d'Italie, insomma…
A Basilea l'atrio della stazione è zeppo di tamburini vecchi e giovani vestiti di nero, con un cappello a larghe falde, nero anch'esso: sono le corporazioni che accompagnano le festività della Pasqua, accorse da ogni angolo della regione per l'evento. Arrivano ogni tanto grandi zaffate di canna, ma non vedo che persone di mezza età.
Come si entra in Germania il tempo si fa sempre più grigio e cupo e presagisco il peggio, in quanto a meteo.

h 22 – all'ostello Köln–Deutz
Il viaggio a 250 km/h tra Francoforte e Colonia è da fantascienza, praticamente un ottovolante su rotaia lanciato su colline che somigliano molto a quelle toscane: mi godo lo spettacolo della tecnica nel salottino di testa, subito dietro la cabina del macchinista che è tutta a vetri, che è purtroppo zona fumatori. Ma la vista val bene farsi affumicare un (bel) po': ci sono un mio padre con figlia piccola (che si addormenta ovviamente come il treno si muove) e un nerd–ferroamatore, il peggio del peggio in quanto a connubio di passioni.
Piove tutto il tempo, prima forte, poi lieve, poi ancora forte.
Mi sistemo all'ostello, che sta in un enorme palazzo davanti la fiera di Colonia, tutto nuovo e pulito, pullulante di lodevoli bellezze, dormo una mezz'oretta e poi vado a Bonn a vedere la Haus der Geschichte der Bundesrepublik Deutschland, il museo storico della Germania (Ovest) dal '45 ad oggi. Un museo da 5 stelle, gratis perché è un omaggio dello Stato federale ai cittadini–contribuenti, con una bella mostra dal titolo "Drüben", cioè "Di là", su come i Wessis (i tedeschi dell'Ovest) vedessero quelli dell'Est, gli Ossis: scopro, per esempio, che il turismo al di là del Muro era una vacanza per pochi e abbastanza ambita da parte dei cittadini federali.
Bonn è triste e spenta, il grosser Umzüge, il gran trasloco del Governo a Berlino ha tolto praticamente la linfa vitale a questa grande città.
Torno a Colonia, mangio in una Kneipe, un'osteria vecchio stile, con pochi tavoli, tenuto da una vecchia factotum, che mi invita a sedere con due americani di Chicago perché non ci sono più posti: in Germania si usa così. I due yankees sono rappresentanti di protesi dentarie venuti qui per un'esposizione del settore: parliamo del più e del meno, di Bush in picchiata, di Obama e della Hillary, del fatto che, pur essendo stati molte volte a Milano, sia difficile trovare qualcuno che sappia parlare un buon inglese per strada…
In stanza trovo due fratelli del North Carolina, un Maurizio robusto e simpatico che ha una start–up di web design (cosa impensabile dalle nostre parti, dove quando vai a chiedere un prestito per una attività innovativa, la prima cosa che ti chiede il bancario è quale bene vuoi ipotecare…) e il fratello, secco e silenzioso, che studia scienze politiche a Cambridge — quindi se la tira un po' — e prepara un esame con l'iPod nelle orecchie.
Poi c'è un tedesco di Amburgo, simpatico, che studia Biologia e Teologia per diventare pastore evangelico. Lì parte una discussione sulle differenze fra le Chiese, delle liturgie e delle gerarchie del clero: rimangono a bocca aperta quando gli dico che la nostra messa dura 45' in media (in realtà ho visto anche di meno, anche 25' senza omelia, ma non glielo dico) contro la loro ora e mezza (ne so qualcosa…) e che si fa la comunione ogni volta che si celebra, quindi anche 2-3 volte al giorno nelle chiese grandi ("si perde il senso del gesto, così!" è la risposta del seminarista, ma non so che argomentare: dovrebbe saperlo lui meglio di me!).
Lo yankee–Maurizio ha una Bibbia sul comò e mi piacerebbe sapere se è un pagliaccio pentecostale o un idiota metodista e aizzargli così l'evangelico–luterano, ma ho troppo sonno e lascio correre.

lun. 18/3 h. 22,20 – Colonia–Bonn–Colonia (in camerata all'ostello)
Stamattina presto tiro la tenda e vedo che nevischia, a fiocchettoni, ma non si raccoglie per terra.
L'evangelico parte (per andare dalla ragazza…), gli yankees restano: dopo colazione parlo con Maurizio degli USA, della sua inspiegabile passione per la Russia e per il russo, che studia da quando aveva 8 anni.
Io prendo la via di Bonn di nuovo, saltando su un IC che arriva a fagiolo: come privilegiato ancora per poco, siedo in 1a. nello scompartimento occupato da due manager tipici tedeschi, vestiti con gusto pessimo, con "Der Spiegel" nella mano, borsa di cuoio nera o marrone e… portapranzo di plastica con panino al Bockwurst dentro! Rifletto su quanto siamo stupidamente provinciali dalle nostre parti, barocchi all'inverosimile, per cui un collega italiano di uno di questi si sarebbe lasciato stroncare dall'ipoglicemia pur di non cacciare un panino casareccio in prima classe.
A Bonn nevischia ancora: attraverso il centro a piedi, animato dal viavai di sfaccendati del lunedì (pensionati, casalinghe, studenti che fanno sega, professionisti che si attardano nelle trasferte). Il mercato nella piazza principale non ha nulla a che vedere con i nostri suk, tutto è bello, pulito e profumato, le urla dei venditori sono richiami ad alta voce, non ci sono cumuli di verdure marce o pozze di acqua di pesce per terra.
La casa di Beethoven è l'archetipo del museo agevole, veloce e coinvolgente: l'audioguida è sintetica e precisa, i cimeli interessanti e commoventi (soprattutto i cornetti acustici), c'è anche un laboratorio informatico dove consultare documenti, ascoltare registrazioni, seguire la musica sulla partitura. Ad aggiungere aria di extraterrestre è un gruppo di bambini di una scuola inglese, parlanti tedesco però, 5-6 anni, non di più, forse figli del personale NATO della base di Rammstein o di diplomatici: visitano interessati e divertiti il muso, accompagnati da una guida dall'aria simpatica. La prima domanda che gli fa nel cortile è "quanti di voi suonano uno strumento?" Si levano una decina di mani su 20 bambini e sento "chitarra, piano, flauto"… me ne vado con un sonoro "E che cazzo!" alla Sordi, tra l'invidioso e l'esterrefatto…
La ricerca della scultura di cemento Beethon (Beton, in tedesco, è appunto il conglomerato cementizio) dopo pranzo va a vuoto perché il famoso circo Roncalli occupa tutta l'area: mi accontento di una passeggiata sul lungo Reno, dove transitano chiatte piene e vuote a tutta forza, e di shopping librario, tanto per appesantire un po' il bagaglio.
Nel pomeriggio visito il Duomo di Colonia e la bellissima stanza del tesoro sotterranea, poi torno all'ostello, esausto.
Trovo un nuovo compagno di stanza, con cui scambio solo gesti e qualche frase a mezza bocca.
Più tardi scenderò al buffet dell'ostello, penso proprio che opterò per il menù vegetariano.
Domani si parte per l'Olanda, voglio stare leggero, mi devo alzare presto.

FIP Tour marzo 07



Sono tornato domenica sera reduce dal mio giro di due settimane sulla rete ferroviaria europea, dopo aver percorso grossomodo 5.000 km e aver visto Germania, Olanda, Inghilterra, Francia e Svizzera.
Comincio a postare — per la gioia di tutti — la prima puntata delle mie (brevi, state tranquilli) note di viaggio.

17.3.07

Vecchi e nuovi mostri

Prima di partire per un intricato tour ferroviario in Europa, che mi terrà impegnato per le prossime due settimane, lascio aperte le sottoscrizioni a 5 petizioni, che vi prego di sottoscrivere nei commenti.

1. Chiedere alla Procura di Potenza di mandare il famigerato spreca–pellicole Fabrizio Corona in pattugliamento con una gazzella dei carabinieri e farlo scendere da solo e disarmato a rispondere ad un conflitto a fuoco o a placare l'isteria delle tifoserie in un piazzale di uno stadio: questo per aver reagito in maniera incivile (degna del personaggio, direi) alle contestazioni di un appuntato che gli faceva notare quanto fosse pericoloso guidare un suv in un affollato parcheggio tenendo il telefonino in una mano e non dando la precedenza.

2. Chiedere al Comune di Roma di deliberare che i beni mobili e immobili dello "scrittore" Moccia siano considerati l'unico luogo deputato per l'apposizione dei cosiddetti pegni d'amore di sua invenzione, compresa l'auto ed il citofono: questo per aver definito "incivile" l'azione di alcuni (saggi) ignoti che nottetempo hanno divelto i lucchetti armati di cesoia dal povero ponte Milvio.

3. Chiedere al presidente RAI Cappon, alla Commissione di Vigilanza e al CdA di evitare ad un povero 86enne giornalista l'umiliazione di ritornare in video a riempire spazi, raccontando sempre le stesse cose: Biagi ha fatto il suo tempo, avanti un altro, prego.

4. Chiedere al presidente RAI Cappon, alla Commissione di Vigilanza e al CdA il ripristino della mitica trasmissione L'almanacco del giorno dopo, se proprio devono buttare 10' di palinsesto: i nostalgici e chi non abbia mai sentito nominare questa trasmissione, vedano qui.

5. Chiedere all'agente di Scarlett Johannsonn di mandarla nelle nostre case a turno, per farla guarire dalla depressione che la avvolge, i cui sintomi si riassumono nella recente dichiarazione di non sentirsi bella la mattina appena sveglia ("sembro un ragazzo"). Terapia d'urto (a rana), altro che… ;)

7.3.07

Rassegna stampa

1. È stata pubblicata online la lista dei 101 peggiori lavori della Terra, molti dei quali imbarazzanti professioni dal mondo anglosassone, uno su tutti il Wal-Mart greeter, vale a dire l'odiato addetto all'accoglienza dei clienti dei grandi magazzini della arcinota catena di bricolage (per chi ha letto almeno un tomo di Economia Industriale o visto almeno una puntata di Simpson o Griffin).
Personalmente aggiungerei il lavoro più degradante che ho visto fare in vita mia: il sorvegliante delle latrine pubbliche ad Alexanderplatz, nel cuore di Berlino. Fortunatamente, ho visto di recente che le latrine non sono più presenziate da addetto, ma anni fa ricordo di questo tizio (generalmente male in arnese) che entrava nel loculo appena liberato dall'utente con in mano una spugnetta per pulire bordo e tavoletta, in cambio di uno stipendio (da sussistenza) e di una mancia volontaria nel piattino di cinquanta pfennig o di un marco intero.

2. Mi è caduto un altro mito: la ormai settantenne ex cosmonauta sovietica Valentina Tereshkova ha rivelato recentemente che il suo trionfale atterraggio ripreso dal cinegiornale era un bluff, perché il rientro era andato in realtà malissimo, come potrete leggere nell'articolo: le navicelle sovietiche — ma questo si sapeva — non prevedevano l'atterraggio della capsula a terra, ma l'espulsione mediante paracadute del cosmonauta poco prima dell'impatto al suolo o con l'acqua.
In realtà la povera Valentina ha dichiarato che ha rischiato di non tornare più a casa, perché gli scienziati della Città delle Stelle avevano sbagliato di brutto i conti, per cui la capsula, ad ogni orbita attorno alla Terra, si allontanava invece di avvicinarsi: oltre a questo angoscioso dettaglio, la povera Valentina ha passato tre giorni di dolori agli arti, imprigionata in una scomodissima tuta nella spartana navicella made in URSS.

3. I soliti olandesi, difensori del libero arbitrio a tutti i costi (dal quale però hanno preso non poche batoste, vedasi problema dell'integrazione razziale, al centro di grandi discussioni in patria dopo l'uccisione di Theo van Gogh, regista del coraggioso — fantascientifico, per la TV italiana, visto che fu proiettato in patria in prima serata su una tv privata — Submission), hanno realizzato per primi la palestra per nudisti, che offre iscrizione ai naturisti desiderosi di fare fitness nella piccola cittadina di Heteren, ad Est, quasi vicino al confine tedesco.
I proprietari della palestra dichiarano serafici che gli iscritti naturisti sono obbligati a utilizzare asciugamani per coprire gli attrezzi e che ogni sera i locali vengono disinfestati.
Soddisfazione dalla comunità nudista neerlandese e plauso dagli abitanti del luogo.

26.2.07

Pensieri a perdere

1. Ennio Morricone e Martin Scorsese, veramente due pregiati artigiani del cinema (il primo musica, l'altro confeziona film), hanno avuto la loro, personale rivincita su uno "star" system invidioso e intrigone, peggio dei Palazzi del potere romani: per quanto possa valere (visto che è finito anche e troppo spesso in mani indegne), la statuetta placcata oro dell'Oscar — ah, dimenticavo, TradeMark, sennò mi citano — adornerà anche i loro salotti.
Per il ruspantone ma grandioso Ennio, dopo aver avuto di tutto e di più ed essere stato chiamato per quattro nomination (i cinefili troveranno sulla vicky l'elenco assortito e il cursus honorum) in più di quarantasei anni di onorata composizione; per il broccolinese e una volta barbuto Scorsese,tanto per dirne solo una, dopo aver visto sfumare ben quattro nomination per l'incontestabile Taxi Driver… (anche in questo caso, i patiti trovano sfogo alle curiosità impellenti qui)
Meglio tardi che mai…

2. Per restare in tema di spettacolo, come tutti ormai sanno, domani riparte il Festival di Sanremo… e stica, direi anch'io, se non fosse per quel piccolo particolare che m'ha fatto un po' girare i cosiddetti.
Dato che Pippo Baudo, notoriamente indigente perché pensionato, e Michelle Hunzinker, emigrata dalla Svizzera in tenera età quindi iscritta alle liste del collocamento precario provinciale, hanno chiesto un compenso che sfiorava di poco il tetto massimo stabilito dalla Finanziaria per tirare la cinghia su tutto e avendo gli 'artisti' puntato i piedi come gli asini — dicendo che o glieli davano tutti, maledetti e subito, oppure se ne andavano, sbattendo pure la porta) — il ministro Nicolais, responsabile di non so quale Dicastero, intimorito dall'altezza di Baudo e temendo di essere tramortito da un soffione alla TicTac da parte della Hunzinker, ha firmato subito prono un decreto sospensivo dei massimali votati dal Parlamento e proposti dal Governo (Ministro Nicolais incluso).
Però alla fine, che sarà mai? Che facciamo, per non pagargli più di 272.000 € per meno di una settimana di 'lavoro' (a cranio, ovvio), rinunciamo al Festival?!?
Giammai, i tiracinghia valgono solo per i comuni, mortali contribuenti, mica per i 70enni tintoniche che hanno succhiato e continuano a suggere dalle mammelle di Mamma Rai (i più raffinati si compiacciano per l'allitterazione, i più distratti per favore rileggano:) ): discorso a parte per le svizzerotte che vengono a mungere un'azienda pubblica italiana, in evidente crisi d'identità (raffinati e distratti si compiacciano della battuta)…

3. Solo una noticina politica, più che altro uno sfogo, per come sono finite le cose in Parlamento: cioè, come al solito in Italia, a puttène, per dirla alla Banfi.
Prodi prepara un rassicurante discorso per la fiducia, accennando, si trapela, ad un “nuovo, rassicurante inizio”.
'Nuovo'? 'Inizio'? Erano le prove generali quelle? Ma, dico, ci fate o ci siete?
Noi non ci facciamo. E neanche ci saremo, a votare la prossima volta. Almeno io.

4. Distendiamo l'atmosfera con un'altro racconto leggendario di povera nonna, quello della pastorella indemoniata.
Un bel giorno, una giovane pastorella torna dai boschi un po' strana. In casa comincia a cacciare una certa vitalità, a fare sguardi ferini e a lisciarsi con la mano una lunga barba appesa al mento, che ovviamente non ha.
Poi comincia a parlare, dopo lungo mutismo e nell'ansia generale, metà in latino, metà in italiano forbito, chiedendo certi strani libri, lei che non sa nemmeno leggere né tantomeno scrivere.
Viene chiamata la 'sciamana' del paese, zia Maria Leonarda, una vecchina che recita preghiere e giaculatorie a manetta, molte delle quali di sua invenzione: dopo un bel po', la pastorella posseduta chiede, le chiede con fare minaccioso : “Che credi di fare? Tu non lo sai da dove vengo io, non è facile trovarmi!” e scoppia in una risata cavernosa che comincia però a smorzarsi pian piano, finché la poveretta riprende coscienza del mondo reale e ritorna ad essere una quindicenne analfabeta e contadina di un piccolo paese dell'Appennino lucano.
Nel vicolo, intanto, si sono radunati tutti i cani del vicinato, che abbaiano all'impazzata tutti nella stessa direzione, ringhiando e digrignando i denti, muovendosi a scatti insieme, sempre rivolti al vuoto, alla strettola buia e deserta.
Dormite tranquilli, liebe Kabinettbesucher, vi auguro buonanotte! :D

7.2.07

Rassegna stampa

Dalla Bulgaria: pornacci proiettati di notte, fin qui nulla di strano, se non apparissero sugli schermi alle fermate dei mezzi pubblici… succedesse da noi, ci sarebbe la paralisi del servizio!

Dalla Russia (con odio): Zio Bill (Gates) si traveste da agente KGB per stanare chi pirata il suo ineccepibile ed ineguagliabile prodigio della tecnica, adottando persino i metodi del servizio segreto sovietico, vale a dire pescando nel mucchio.
Avrà implementato una funzione random di ricerca?

3.2.07

E basta!

Dieci proposte da Beppe Severgnini per tentare di frenare la caduta verso il basso: per ora è il calcio, ma il malessere è generalizzato.

Diamoci tutti quanti una calmata, ovunque e qualsiasi cosa facciamo, perché non ci stiamo accorgendo che questi tempi di rissa cercata, di isteria ostesa ci stanno mandando al manicomio e non so se si riesce a guarire, poi…

31.1.07

Quando non si ha proprio niente di meglio da fare…

Propongo una campagna per segnalare i siti più fancazzisti in cui vi siate mai imbattuti, escluso perentoriamente questo ed il mio Gabinetto fotografico!

La mia proposta è il catalogo fotografico di tutti i prodotti della famosa azienda ACME comparsi nei cartoni animati degli ultimi quarant'anni.

Segnalate le vostre, dunque: sarebbe interessante che specifichiate come e perché vi siate imbattuti in quel link, ma forse, per spirito di carità fraterna, è meglio non approfondire troppo…

28.1.07

Pensieri nell'inverno quirite

1. Ieri stavo tirando un po' la macchina sul vialone sotto casa per tamponare il ritardo che avevo accumulato nell'andare a fare ripetizioni di algebra ad una povera vittima liceale che mi sopporta (e mi paga pure).
Pioveva, come oggi del resto, acquazzone a tratti, fanghiglia che si alza dalle ruote delle auto che precedono e che si proiettano sul parabrezza. Nel mezzo di una accelerata da seconda a terza, scorgo a bordo strada un uomo vestito di chiaro con un cane al guinzaglio, perfettamente allineati al centro delle strisce pedonali e in evidente procinto di attraversare: rallento per fermarmi, l'uomo però non si muove, come fanno tutti i pedoni quando capiscono che il/la guidatore/trice ha concesso loro il grande onore di premere il pedale del freno e quindi si sdebitano cercando di togliersi di torno il più presto possibile, per non dare eccessivo disturbo. Quel tizio però non accenna a muoversi, mentre la mia macchina scivola a pochi km/h verso le strisce, anzi sembra dimostrare il più completo disinteresse per portare a termine l'operazione di attraversamento, guarda dritto davanti a sé. Dopo che mi sono fermato del tutto, passa un altro secondo e l'uomo, finalmente, come risvegliato da uno strattone, comincia ad impegnare lo zebrato, sempre però guardando dritto, senza girare la testa. "Povero pazzo" penso io. Fra una battuta e l'altra del tergicristallo sul parabrezza madido di pioggerella fina e fitta, mentre il pedone altezzoso e il labrador color caffellatte sfilano davanti al cofano, tutti e due con noncuranza, regali, mi rimangio il pensiero: lui porta una piccola fascia gialla con tre palle nere, lo stesso il cane su una specie di corpetto, come quegli odiosi cappottini che le fanatiche padrone impongono ai loro canidi da grembo, solo più grande.
È il pittogramma internazionale dei ciechi. E il cane sta facendo attraversare il suo affidato non vedente. Non solo, lo ha fatto muovere dopo essersi assicurato che il traffico si fosse effettivamente arrestato.
A centro strada, nello spartitraffico, lo fa di nuovo, meccanicamente: fa fermare l'uomo, aspetta che il 93 accenni una frenata e che si arresti completamente, altro strattone e la traversata può dirsi conclusa. Manca il gradino per salire sul marciapiede. Il labrador si ferma per un istante ai piedi della banchina, quanto basta ché il suo trainato si allinei con i piedi e capisca che deve alzarne uno. Solo allora il cane monta sul marciapiede e aspetta fermo finché anche il cieco ha completato la manovra di salita. E poi se ne vanno, come un tizio qualunque in impermeabile chiaro che torna a casa dai giardinetti col suo cane, sorpresi entrambi da un acquazzone.

2. Tempo fa ho comprato un romanzo anni Sessanta su una bancarella di libri, di quelle su cui, senza alcun riguardo, vengono accatastate quintali di carta rilegata e sciolta, molto spesso biblioteche di vecchi generali o di impiegati dello stato passati a miglior vita, magari costruite per autore, per argomento, o semplicemente comprando i Mondadori o il Reader's Digest per corrispondenza. Biblioteche e raccolte di cui puntualmente gli eredi si disfano non appena prendono possesso dei lasciti.
In questo romanzo tedesco, mentre lo sfogliavo per spolverarlo, è uscita dalle pagine una cartolina a colori, intonsa, non scritta. Una classica cartolina di quarant'anni fa, con dei colori un poco innaturali, con un panorama di Livigno innevata all'inverosimile. E lì, ho cominciato a fantasticare, ad ipotizzare come e perché fosse lì.
Un souvenir da tenere in casa dopo una vacanza sulla neve? Una cartolina comprata in sovrappiù oppure non spedita perché erano finiti i francobolli? Un memento di belle giornate sulla neve con allegri compagni, di passeggiate, brulé e corteggiamenti galanti? Oppure la cartolina portata a mano ad un vecchio nonno da qualche nipote, tenuta sul tavolo, poi usata come segnalibro, distrattamente ma non troppo, perché ogni tanto, riprendendo il libro, l'occhio ci cada su e magari si ricordi il bel tempo che fu, di quando gli sci erano di legno grezzo e non c'erano doposci "lunari", ma solo stivaloni al ginocchio?

3. Mentre gironzolavo per piazza Venezia, consumando l'inerzia che si acquista scendendo a piedi dalla discesa di via IV Novembre, davanti alla "Macchina da scrivere", il Vittoriano o Altare della Patria che dir si voglia, mi venne in mente un fatto che mi raccontò mia nonna.
C'era un suo avo che non poté gioire del Bollettino della Vittoria firmato Generale Diaz (o Diàz, come dicono a Napoli: "Scusate, per piazza Diàz?"), quello che — tanta era l'enfasi della vittoria, veniva inciso anche su lastre di bronzo fatto con i cannoni austriaci catturati — si conclude "I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.": il figlio, tenente di Artiglieria, studente di Medicina, vent'anni, era dato per disperso sul Monte Cimone, dopo uno degli ultimi furiosi combattimenti palmo a palmo, quelli in cui interi reggimenti tornavano decimati dopo aver guadagnato (o perduto) una ventina di metri.
Quando portarono il Milite Ignoto a Roma, volle andare, assieme a tanti altri con la sua stessa storia, a rendere omaggio e a tentare esorcizzare un po' quel dramma, allo stesso tempo, interiore e nazionale. Salito fino al sacello, dove i due piantoni montano la guardia a quel mucchietto di ossa e di brandelli di divisa racchiusi in una cassa zincata, fu colto improvvisamente da una fitta alla testa, al petto, all'addome: "Qui c'è Mimì, qui c'è Mimì" ripeteva, mentre si accasciava fra le braccia di un carabiniere che lo aveva visto in preda all'emozione e allo sgomento. Fece a tempo a tornare a casa, per morire una settimana dopo.
Mimì era il giovane tenente che non è più sceso dal Monte Cimone dopo la battaglia.

21.1.07

"Italietta" — commediola grottesca in tre parti



I. Mentre in Europa centro–settentrionale imperversava l'uragano "Kyrill", con venti a 200 km/h, più di 40 morti, un miliardo di euri di danni nella sola Germania, intere nazioni in tilt e nel panico, il TG1 delle 20 — badate bene, il glorioso tiggìuno delle venti! — dedicava un servizio lunghissimo all'uscita dell'ennesimo, stanco e nevrotico Verdone, alla sempreverde bellezza di Monica Bellucci, nei panni di una ninfomane fisioterapista, e alla grande interpretazione di tale Scamarcio (ma chi è?!? qualcuno colmi la mia ignoranza, vi prego, sennò non potrò più andare al cinema senza aver conosciuto questo fondamentale istrione del cinema nostrano!) mentre se la fotticchia in una scena definita "bollente" (di lessato però c'era solo la faccia di Scamarcio e la scena risultava stinta e annoiante… Gloria Guida, dagli lezioni, ti prego!).
Il TG3, invece, apriva il servizio con un concitato elogio dal sapore deamicisiano sulle "nostre Alpi" che ci hanno protetto e sugli strascichi meteo del ciclone che si sono abbattuti su Sardegna, Piemonte e Alto Adige: in sostanza, qualche albero azzoppato per il forte vento, qualche coppo di tetto volato via.


II. All'indomani dei funerali dello scomparso pontefice Giovanni Paolo II, il sindaco di Roma Veltroni si affretta a dichiarare alla stampa che l'Urbe quirite renderà omaggio imperituro al defunto papa dedicandogli uno dei luoghi più importanti e centrali della città… la stazione Termini.
Non avendo consultato nessuno sull'opportunità dell'operazione (ridicola sotto ogni punto di vista non tanto nel fine, quanto nei modi, perché non vi è in città luogo, penso io, — purtroppo — più squallido e deprimente della stazione centrale e, soprattutto, perché le stazioni e gli aeroporti non vengono dedicati a personalità religiose neanche più in Medio Oriente), neppure i legittimi proprietari del fabbricato viaggiatori (le Ferrovie, nella fattispecie), e pressato e avversato da quasi tutti i componenti della Giunta, il sindaco ha dovuto fare di corsa dietrofront e arrampicarsi sugli specchi spiegando che la stazione era stata "solamente dedicata, non intitolata".
Della serie "Con piazze e parchi pubblici si fa più bella figura". Amen.


III. Intervistato sul Corsera odierno in merito alla sentenza della Cassazione che dichiara il download peer to peer (o P2P, in nerdico) legale se non compiuto per scopo di lucro, Antonello Venditti risponde così ad una precisa domanda dell'intervistatrice:

— Quindi se un ragazzo si scarica gratis un suo disco lei non se la prende?
• Ma no. Certo vuol dire che di musica ci capisce poco. Perché quella che gira così è di pessima qualità, peggio delle vecchie cassette. […] Io la differenza però la sento, anche l'mp3 riproduce malissimo il suono originale.

Vabbè, almeno ha ammesso che di computer capisce poco, anche se ricordo delle cassette "mixed by Erry", made in Naples, ineccepibili.

16.1.07

Seconda ristampa de "Le civiltà del rutto"

Visto l'insperato successo ottenuto in soli due giorni dal nostro saggio, le Edizioni Improponibili hanno programmato una seconda ristampa dell'opera e garantiscono tempi di consegna ai rivenditori abbastanza contenuti.

L'alto gradimento che si è riscontrato al Nord Italia ha convinto sia noi che l'editore ad integrare nel canale di diffusione anche i giocatori delle tre carte, capillarmente presenti nell'atrio della stazione di Milano Centrale e nei mezzanini delle principali stazioni della metropolitana meneghina.

Con questo intendiamo ringraziare i nostri lettori per la grande manifestazione di gradimento attribuita alla nostra opera e invitiamo tutti i cultori della materia ad inviarci le proprie osservazioni.

Mutande pazze

Sulla metropolitana di Nuova York (come diceva povera nonna) si sta tenendo per l'ennesimo anno consecutivo la "No Panties Day", la giornata delle mutande in libertà sfoggiate sui convogli della sotterranea della Grande Mela durante le ore di punta mattutine e serali, ad opera di un numeroso branco di volontari (nullafacenti, penso io) orchestrati da un duo di pazzi fottuti (ancora più sfaccendati dei loro "collaboratori").
Potete leggere sulla loro pagina web il lungo (e prolisso) racconto della vicenda e le foto scattate durante la… smutandata collettiva.
Ah, la motivazione? Rallegrare il viaggio dei passeggeri della subway, in viaggio per raggiungere il posto di lavoro o il luogo (di martirio e/o) di studio.
Come se sulle metropolitane di tutto il mondo non si vedano già abbastanza stranezze…

14.1.07

Novità editoriale imperdibile!


Da domani troverete nelle librerie più squalificate e presso tutti gli ambulanti delle stazioni della metropolitana il saggio che ho scritto a quattro mani assieme a mio fratello: l'argomento che abbiamo scelto per farci dichiarare indesiderati da alcuni governi della UE sono le rumorose e gassose abitudini post–prandiali dei popoli del nord, la loro gioiosa attitudine all'esternazione libera del rutto in luogo pubblico e il successivo silenzioso compiacimento, che rincorre la tacita approvazione degli astanti.

Il rutto, nel Nord Europa, diviene motivo di aggregazione sociale, di affinità empatica fra i gruppi e di congiunzione trasversale di tutte le classi della popolazione: si rutta in bici, sul tram, andando a lavoro, aspettando la ragazza sotto casa, prima di entrare al cinema.

La civiltà che si fa rutto. E il rutto che la sostanzia.

(150 pp., paperback, con numerose illustrazioni e CD allegato)

11.1.07

Restyling and revamping…

Due parolone econ-english, il particolare slang molto in voga negli ambienti della direzione aziendale, per indicare una semplice "ripulita" nello stile (per i contenuti non so…) del blog, dato che l'onnipresente Google.com ha rilevato anche il portale dei blog che ospita il mio Kabinett e ha portato una ventata di novità tecno–nerdiche, fra le quali stili più belli ed editing modificabile… ecco anch'io sono caduto nella spirale del techno–english, ancora più pernicioso e pervasivo.

E, cosa ancor più preoccupante, sono caduto nelle grinfie di Pages & Brin, i due pazzi patroni di Google, i quali spizzeranno la mia corrispondenza con gusto ancora maggiore dopo questo sfottò!

6.1.07

Pia illusione positivista di primo Novecento




«Via, per il sentiero tortuoso e ineguale, senza curarci dei salti, degli sbalzi, degli urti, pur di correre. L'automobile non è che alla seconda velocità, ma ci par di volare. Ci si presentano delle vaste pozze formate dalla pioggia. Avanti! Vi precipitiamo dentro, le solchiamo sollevando una tempesta d'acqua e di fango; l'ondata rigurgita nel vano del telaio e ci bagna. Ridiamo. Parliamo ad alta voce, presi da una strana esuberanza […]. E c'è anche in noi una gioia nuova, che viene dalla soddisfazione intensa e inesprimibile del fare una cosa che non fu mai fatta. È la voluttà d'una conquista, l'ebbrezza di un trionfo, e una sorpresa insieme, come un trasognamento per la singolarità fantastica di questa corsa in questo paese. […] Ci pare d'interrompere una quiete millenaria, d'essere i primi a gettare fuggendo un segnale di risveglio ad un gran sonno. Sentiamo in noi l'orgoglio d'una civiltà e d'una razza, sentiamo di rappresentare qualche cosa in più di noi stessi: con noi è l'Europa che passa. Nella velocità si riassume tutto il significato della civiltà nostra. La grande brama dell'anima occidentale, la sua forza, il segreto vero d'ogni suo progresso, è espressa in due parole: "più presto!" La nostra vita è incalzata da questo desiderio violento, da questa incontentabilità dolorosa, da questa ossessione sublime: "più presto!"»

Luigi Barzini, "La Metà del Mondo vista da un'automobile: da Pechino a Parigi in 60 giorni", Touring Club Italiano, Milano, 2006, pp. 73–74.

Quello che ho riportato su è uno stralcio dal libro pubblicato dal giornalista del Corriere della Sera Luigi Barzini contenente il racconto dell'epico e (per quei tempi) assolutamente impensabile raid Pechino–Parigi (14.000 km), effettuato nel 1907, assieme al Principe Borghese e al suo "chauffer" (come si diceva all'epoca).
La prima edizione del testo è del 1908: per una prima carrellata di info, si consulti la benemerita Wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Raid_Pechino-Parigi).
Le foto sono tratte da lì e da http://www.ritzsite.net/ (così nessuno scoccia con i diritti…)