19.4.07

FIP Tour marzo 07 – IV puntata

22/3 h. 21,40 (all'ostello "Rotterdam City")
Leiden–Rotterdam


I nuovi compagni di stanza sono molto tranquilli per fortuna, sono dei piemontesi che lavorano ad un cantiere di condotte in Provenza.
Dopo colazione ancora saluti festosi della classe milanese che riprende la via di casa: la giovane grata mi chiede consiglio per un regalo al padre, che non sia erba o un pornaccio estremo… vi verrebbe da dirle che il padre sarebbe ben più contento di questi doni, rispetto alla cravatta coi tulipani che ha adocchiato in vetrina, ma non ho il coraggio di raggelare tanta beata innocenza, soprattutto dopo che sono assurto a ruolo di mentore…

Leiden, Leida per noi, "dove Rembrandt trovò la luce" dice un enorme poster su un palazzo, è una deliziosa cittadina che mi accoglie con folate di vento gelato, ma senza puzza bovina come in Frisia: il sole è però caldo (se si cammina) e oggi non sembra tirarsela troppo.

Vado subito al museo Boerhaave (dal nome del clinico Herman) da dove esco meno ignorante di prima, come mi succede da una settimana a questa parte. È un tipo di museo assolutamente tabù nel nostro Paese, perché tratta nientemeno di storia della scienza, in maniera didascalica ma soprattutto interattiva: la dimostrazione — ancora una volta scioccante — me la danno tre scolaresche di prima–seconda elementare che fanno una specie di caccia al tesoro assieme alle loro maestre, armati di materiale didattico. Gli esperimenti che fanno nelle sale sono tremendi (uno sulla diffrazione della luce non mi riesce nemmeno a l terzo tentativo, nonostante svariati anni di corso di Ingegneria, per fortuna i piccoli non sono a tiro): prendere il punto con un sestante (vero) e controllare il risultato (4° e rotti, a me venivano 22°…), fare 12x35 col regolo calcolatore (non mi ci sono applicato nemmeno) o estrarre un nascituro con una coppia di forcipi da un manichino (questo mi riesce al primo colpo, che abbia sbagliato tutto nella vita?!?). I futuri non–terrorizzati–dalle–scienze li verificano subito con un piccolo test a crocette, che discutono con la maestra, sempre democraticamente, con alzata di mano e con tono di voce mai esuberante, nonostante la concitazione del momento.
Mi esce un secondo "e che cazzo!" alla Sordi quando scopro che col biglietto ho diritto ad un caffè e ad un quadratino di torta al cioccolato.

Pranzo ancora in panetteria con dei tavolini, dove la commessa al bancone porta la roba che hai ordinato e che ha riscaldato in forno: il gracchiare e i raschiamenti di gola (fonetici, intendiamo, non catarrosi) con cui mi esibisco in pubblico mi danno l'illusione di parlare olandese i loro frutti e la commessa mi lascia indulgere con tatto nella mia illusione.

Nel pomeriggio arrivo a Rotterdam: è la prima volta da quando sono partito che per vedere una faccia bianca con occhi azzurri impiego cinque minuti. Ed è la prima volta che vedo in Olanda 2, 3, 5, 7 pattuglie della Politsie a piedi, in moto, in bici, in furgone per le strade: qui c'è lo spaccio di roba pesante più grande di tutti i Paesi Bassi, i tassi d'immigrazione più alti del paese, il più vasto assortimento in tema di sollazzi della carne, per via dell'animatissimo porto merci.
L'immigrato si fa sempre notare, ovunque si trovi e qualsiasi cosa faccia: urla, assume un'espressione truce ed incazzata anche con gli amici, spara tuz–tuz a palletta in macchina… è la non rassegnazione ad accettare o la volontà di distinguersi? Tutto si può dire, però, tranne che l'immigrato venga maltrattato in Olanda.

In stanza capisco che stanotte si avrà un bis della notte trascorsa: entra un bruto dell'Est, visibilmente stanco, puzzolente all'inverosimile, che si butta a peso morto sul suo letto e praticamente sviene, non si addormenta. La roba degli altri, sparsa nella stanza, mi ricorda preoccupantemente la bagaglia dei rumeni di Haarlem.

Doccia e poi giro al porto vecchio: il vento quasi ti fa cadere e perciò l'Erasmusbrugse lo vedo da lontano.
R'dam è un laboratorio di urbanistica a cielo aperto: si è fatto, si fa e si farà di tutto e di più, ancora di più che a Berlino.
Arrivo in metro a Delfshaven, da cui i Padri Pellegrini partirono alla volta delle Americhe e celebrarono l'ultima messa prima di salpare col Mayflower (non si sa mai…).
Non ho fame per niente, mi prendo una polpettona di carne e un goccio di birra in un café bruijn (il tipico pub olandese), poi me ne torno in ostello.

Che mi aspetterà su quando torno in camera? Speriamo che i tappi di gomma che mi ha dato la receptionist servano a qualcosa.


23/3 h. 9,33 (ostello R'dam City)
R'dam—H.v. Holland

I tappi dovevo mettermeli nel naso, altro che orecchie…
La xenofobia è ai massimi storici, purtroppo.
Il russo, quello svenuto dal sonno puzzava in una maniera invereconda, sono inutili le contromisure adottate, come spalmarmi il deodorante sulle mani e sul naso, tenere il finestrone aperto, respirare con la bocca: mi sveglio a tratti durante la notte per l'insufficienza respiratoria. Mi viene la tentazione di lavarlo con una manichetta antincendio nel letto e svuotargli addosso un estintore e di rompergli in testa la bottiglia di Jonver (il gin olandese) che ogni tanto sento sorseggiargli.
Alle cinque i tre rumeni accendono la luce della stanza e cominciano a parlare e a scherzare ad alta voce.
La misura è colma: "E basta, aho', e so' 'e cinque!!! e 'nnamoo su, spegnete 'sta cazzo di luce!" è la mia romanesca reazione, per dare peso alle parole, cui segue un cortese "Vai a fare culo in Italië" dal basso.
Attacco un battibecco in inglese con il più giovane, che non vuole saperne di accendersi la luce del letto, perché "devo andare a lavorare". Non insisto, sono di più e forse pure col coltello. Li mando a cagare a mezza bocca utilizzando le più fetide espressioni del dialetto quirite e partenopeo. Alla reception, prima di colazione, vado a fare un comizio costruito ad arte, toccando tutte le corde più sensibili del sentire olandese, vale a dire l'accoglienza ma il rispetto, da parte dell'accolto, delle regole dell'accogliente.

Loro sono come noi italioti che sbarcavamo ad Ellis Island o che riempivamo i cantieri di Düsseldorf: i Mimì della prima ora hanno però vissuto in baracche, in case in otto persone, guai se avessero messo piede in un ostello della gioventù, come minimo gli avrebbero rotto la testa e poi appiccicato sulla fronte un foglio di via, come un pacco.
Mi rendo conto che straparlo, anzi strascrivo (forse), è la mancanza di sonno e l'intrinseca ed estrinseca complicazione del mondo che mi rende nervoso e insofferente, specie dopo che sono stato mandato a fare in culo nella mia lingua da uno staniero che pretende di avere ragione, pur essendo nel torto, in casa d'altri.

Meno male ci sono una signora olandese che, come ieri sera, mi chiede delle cose che non capisco assolutamente e un van Gogh, rubizzo e con la barba rossastra, che mi tirano su il morale al solo guardarli.
Mi accuccio nella silenziosa sala TV a guardarmi il mitico meteo della BBC e le cretinate della MTV made in Holland (praticamente solo sottotitolata): tra un po' vado ad imbarcarmi per Albione al porto di Hoek van Holland.
PS: il giornale di oggi dice che sabato gli Orange giocano contro la Romania. Spero gli facciano il culo a strisce! Oranje boven!

(continua)

1 commento:

Anonimo ha detto...

sempre fortunato con i compagni di stanza, eh?????? :-D
Betta