4.4.07

FIP Tour marzo 07 – II puntata

mart. 20/3 h. 10,07 – (sull'ICE per Utrecht)
Colonia–Utrecht


Ormai ho sviluppato un settimo senso per le persone: capisco al volo che tipo ho davanti, prima ancora che apra bocca.
Più volte mi sono detto — peccando di modestia (falsa) ed esagerando in xenofilia (vera) — di starmi zitto, di non essere infallibile, che la prima impressione non è quella che conta.
Dopo stanotte mi ricredo e mi pongo sugli altari, giudice supremo del bene e del male umano, delle miserie e delle virtù altrui: il mio settimo senso funziona ormai al 98,999% e gli eventi grotteschi appena occorsi lo dimostrano.
Dissi che il nuovo arrivato era "strano". Allora, io mi alletto alle undici, verso mezzanotte tornano gli yankees, però capiscono che dormo e quindi fanno pochissimo rumore, non accendono tutte le luci.
Alle 4 comincia il delirio. Torna lo strano e accende invece tutte le luminarie, sbatacchia le porte, si spoglia completamente e si mette nel letto, il mio sonno è messo gravemente a repentaglio. Dopo un po' sento che qualcuno in stanza comincia a grattarsi sotto le coperte come quando le zanzare banchettano con la nostra epidermide ad agosto, solo che il grattare continua per minuti interi, senza interruzione. Io che penso sempre male comincio a sospettare il peggio, ma scaccio il pensieraccio dall'anticamera del cervello. Il rumore comincia ad assumere cadenza regolare e si frammischia una respirazione sempre più grave ed affannata. Non voglio credere a quello che sento, perché ormai è chiaro che qualcuno sta praticando autoerotismo. Oh, Madonna, ma tutte a me capitano?!?
Girandomi verso il centro della stanza, pur nella nebbia della mia miopia, vedo distintamente lo strano, nel letto superiore parallelo al mio — per fortuna lontano — che se lo mena con vigore. Non ci credo, ma purtroppo è vero. Vabbé, astinenza, diciamo così, una gliela concedo, passi. Però arriva al dunque altre due volte: lo yankee oxoniense si alza perché deve prendere l'aereo presto e accende la luce dell'ingresso e la scena si rischiara in tutta la sua miseria perversa.
Che fare? Il dubbio che fece vergare a Lenin parecchio inchiostro e gli tolse il sonno per parecchie notti dopo la Rivoluzione, si affaccia anche da me: urlo? Lo minaccio? Accendo la luce e urlo e lo minaccio? Scappo alla reception e — come ha insegnato Frau Kunzemann, la proffa di tedesco — sfoggio il terrificante vocabolario accusatorio tedesco, calcando gli accenti dei prefissi e parlando con l'indice teso?
Alla fine faccio un po' di tutto: in inglese, perché non so di dove sia, urlo di piantarla con questo schifo e gli prometto di farlo cacciare a calci nel culo (nudo, vorrei aggiungere, nel freddo gelido di Colonia). Raccoglie il coso fra le mani, con falso pudore, si copre e si gira dall'altra parte, di scatto. Sono le 5, si è spippettato per ben 45' continuativi… una cisterna!
Mi forzo di addormentarmi dritto sul letto, col cuscino dietro le spalle e con un occhio aperto, come un sentinella di una trincea sul Carso, non si sa mai. Alle 6,30 finisce un sonno epilettico e decido di vestirmi, lavarmi (ma nel cesso della reception, perché mi fa schifo toccare persino il pavimento) e squagliarmela. Quando torno in stanza trovo Maurizio che disfa l'armadietto di corsa e mi accoglie con un incredulo "unbelievable!!: il merdoso ha ricominciato di gran carriera, via in tutta fretta.
Dopo averne dette quattro alla reception andiamo a fare colazione. Ci ridiamo anche su, ma siamo entrambi a pezzi: io ho le gambe pesanti e dolorose dal poco sonno, lui è sfatto e scioccato. "It happens" ci rassegniamo entrambi.
Tanto è il trauma che alla stazione di Colonia mi stava per partire il treno per Amsterdam sotto il naso. È zeppo di giapponesi, manager che vanno a Düsseldorf o Duisburg — le tristissime città–fortezza del sistema industriale tedesco —, sono pochi quelli che vanno in Olanda.
Il cielo è velato, sole a sprazzi, ma non convince. Ad Emmerich, subito dopo la frontiera, la prima cosa che vedo è un bel mulino a vento e mi torna il sorriso.

h 21,50 (all'ostello "Strowis", Boothstraat, Utrecht)
Utrecht è una città bellissima, con i soliti canali marroni, le strade acciottolate con mattoni rossi, gioventù bionda o rossiccia in bicicletta, vento freddo che sbuca da un angolo all'improvviso e sembra voglia buttarti per terra (il Duomo venne addirittura sradicato dalla furia di Eolo nel Seicento), le campane del carillon che suonano una melodia diversa ogni quarto d'ora.
L'ostello che ho scelto non appartiene al circuito HI internazionale, è gestito da ex squatters nella vecchia sede dell'ACI locale: è dunque un esempio di negoziazione urbanistica molto interessante, di do ut des profittevole che salva le apparenze e fa contente entrambe le parti. Quando lo sgombero si faceva sempre più vicino, gli occupanti decisero di prendere questo palazzo seicentesco di tre piani, di ripulirlo bene, di metterci mobilio demodé e di farci un ostello accogliente e confortevole, salvaguardando anche l'etica degli ideali tenendo in piedi un centro di attività politica poco lontano, una specie di centro sociale però pulito, come ho visto passando da fuori.
Prima di entrare al Museo degli Organetti da Strada e delle Macchine musicali (ebbene sì, esiste anche questo) cedo al diavolo tentatore neerlandese sotto forma di "vlaamse vrieten", un cartoccio medio di patate e maionese che è il mio pranzo assieme ad un milk shake alla banana. Il museo raccoglie gli esempi di quanto la tecnica sia perniciosa e ossessiva: ai tempi in cui non c'erano lettori mp3 e sì e no girava qualche disco per grammofono, per riempire le serate dei café e dei bistrot, più o meno malfamati e fumosi, alcuni artigiani e tecnici (fra cui parecchi ingegneri…) si sono attrezzati nel tempo per creare macchine che suonino canzoni in automatico, mediante dischi o nastri di carta perforati. Ecco dunque la spaventosa Violina o l'organetto da tavolo a manovella per insegnare a cantare all'uccellino nella gabbia in salotto. Ci sono parecchi strani, vecchi male in arnese, vestiti peggio, con due occhiali sul naso, che ricordano i bei tempi andati dei Pierements, i pesanti organi meccanici da strada, che tanta fortuna ebbero nei Paesi Bassi in virtù del piattume del territorio.
Dopo ciondolo un po' per le vie del centro, mi impolvero in un sotterraneo enorme zeppo di libri da un rigattiere "De Arm", che è un'istituzione per il bric–à–brac e le cianfrusaglie, visto che ha altri due negozi tematici, uno di mobilia, l'altro di articoli di casa e di hi–fi d'epoca. Non posso non uscire senza aver comprato qualcosa, il richiamo della carta stagionata è micidiale. E così è infatti. Ma dove li metterò più 'sti libri?!? penso mentre mi appennico in stanza.
Dormo per un'ora e mezza, una bella doccia e poi via a mangiare, perché sono già le 19,15 e qui tra un'ora l'unica cosa aperta è BurgerKing o qualche mefitico arabo (anche se la tentazione di kebab è forte).
In un locale sci–sci spendo poco perché prendo i piatti della tradizione, zuppa di pomodoro e involtini di formaggio brie nel prosciutto. Giretto digestivo nel centro deserto e poi nell'enorme centro commerciale Catherijnhof, che attraversa praticamente tutta la zona centrale sbucando alla stazione: la guida Lonely Planet come al solito esagera come solo gli yankee sanno fare ("un centro commerciale claustrofobico, da far venire l'ansia"… ma gli shopping mall non li hanno inventati negli USA?!?) e la voglia di buttarla nel cesso una volta buona è grande. Tanto per fare un dispetto ai due idioti della guida, mi viene voglia di andare a cinema, visto che in Olanda i film stranieri sono sottotitolati e rimangono col sonoro originale, ma col sonno che ho non ho le forze per affrontare una impegnativa visione in lingua estera, neanche fosse Ben Stiller (che comunque avrei snobbato).
Dunque ritorno all'ostello, dove c'è un gruppo di quaaa (leggasi: mediorientali) che preparano un tremendo stufato di montone nella cucina comune e poi giocano a backgammon bevendo vino (che siano siriani maroniti?).
Io leggo, scrivo cartoline e mi faccio venire sonno. Mi convinco sempre più che la legge Sirchia sia una delle poche leggi dello Stato italiano degne di valore che qui non esiste e neanche in Germania, anche se leggo in giro che si stanno preparando decreti molto simili. Nel frattempo i miei vestiti gridano vendetta.

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