21.4.07

FIP Tour marzo 07 – V puntata

h 14,10 (sulla Motonave "Stena Trader", appena fuori l'imboccatura del porto di Hoek van Holland)
H.v. Holland (NL) – Harwich (GB)


L'imbarco sulla nave è un vero e proprio check–in aeroportuale, ci caricano nella nave pure con un autobus, perché questo è un traghetto merci e non ha la passerella per i passeggeri: il garage della nave puzza tremendamente come un mercato del pesce a mezzogiorno, ci spiegano che nel viaggio precedente hanno sbarcato solo camion per il trasporto ittico. Per scusarsi della "provvisorietà" e della "inadeguatezza" (ai bipedi) di questa nave (parole testuali della brochure, ripetute all'altoparlante, ma la nave è fresca di revisione e come comfort dà una pista anche ai traghettoni passeggeri delle rotte vacanziere), la compagnia ci offre l'uso illimitato del buffet durante tutta la traversata. Prima buona notizia in due giorni un po' troppo movimentati.
Ci sono immigrati con passaporto britannico, camionisti inglesi, pendolari di lavoro e di vacanza (olandesi soprattutto) e un gruppo di ragazze londinesi multicultural e fashion–addicted (si va dall'afro–bling all'icy–Albionic type), oltre ad un paio di immancabili strani: un bizzarro con basco, onusto di borse che non fa che chiedermi informazioni a raffica e un pessimo che ha fatto incatenare dai garagisti un… triciclo enorme pieno di buste. Comincio a pensare che uscire dal seminato dei circuiti dell'ovvietà turistica aumenti la probabilità di incontrare bislacchi e forse dovrei pure cominciare ad annoverarmi nel conteggio.
Un vecchio inglese, con un parrucchino vistoso color mogano, mi chiede se gli passo il pepe: per poco non gli rido in faccia, sembra una spalla comica di Benny Hill.

Dicono che il mare a largo sia buono, da qui ancora non si capisce, siamo ancora sottocosta. È un concetto opinabile da queste parti?


h 15,23 (in navigazione)
Ho inconsapevolmente creato un security alert: l'aria di Inghilterra isterica e densa di paura dei bombaroli comincia a farsi sentire. Dopo aver preso freddo per un'ora sul cosiddetto "ponte sole" (ma de che?!?) a guardare la manovra di partenza, tornato al mio posto non trovo più né zaino né vecchietti olandesi cui avevo chiesto di darci un'occhiata. Il vecchio sbuca da un cantuccio e dice che, non avendomi più visto, si era preoccupato e ha portato la mia borsa al commissario di bordo per precauzione.
Questi mi fa un cazziatone, accusandomi di aver messo a repentaglio la sicurezza della nave: ricevo subito la mia prima lezione di civiltà inglese dai tempi della scuola, "don't leave your personal belongings unattended". Never!
Non credo scherzi il commissario quando mi dice che lo zaino stava per essere distrutto o gettato a mare, perché le nuove disposizioni di sicurezza lo permettono: si pente però dell'eccessiva e irosa reazione quando gli presento le mie scuse sincere (tra l'altro è olandese e la cosa lo tange non più di tanto, un briton mi avrebbe umiliato al microfono nel mezzo della sala): gli spiego che non avevo pensato che il 21/7 e il 7/7 — i due attentati, uno riuscito e l'altro fallito, che hanno cambiato per sempre il modo di vivere inglese — avessero seminato un'ombra schizofrenica del sospetto su chiunque e qualsiasi cosa, cui non siamo (per fortuna e speriamo ancora a lungo) abituati in Italia.
Istinto di conservazione, chi vivrà, vedrà. Povero mondo.

Lo shop della nave mi ridà il buonumore (quante volte l'ho scritto questi giorni?), perché è completamente driver–sized, dato che i camionisti sono i maggiori utenti: angolo tecnico con attrezzi vari; angolo accessori, fra cui spiccano un dito medio luminoso alzato da cruscotto e mutandine da appendere al retrovisore; angolo relax, una parete stipata di pornacci e una di stecche di sigarette grandi come confezioni famiglia di tovaglioli di carta.
Il mare è forza 4–5, increspato al traverso, ma la massiccia "Trader" lo sta tenendo benissimo, sembra di stare in treno.

h 17,54 GMT (da qualche parte nel mare del Nord meridionale, a 3/4 di rotta compiuta)
Mi sto rompendo le balle perché il salone è scomodo per chi vuole accucciarsi un po' in pace, ci sono dei divani favolosi ma sono nella zona fumatori, una giovane coppia mediorientale lascia piangere i figli piccoli finché si strozzano con il loro stesso pianto e ho sonno, tanto maledetto sonno…

Ho comprato un blocco per gli appunti allo shop (ma senza donnine discinte sopra), ho preso un cappuccino al buffet (ottimo, difatti la macchina è italiana), fatto due passi per sgranchirmi, visitato due volte il vespasiano, regolato già l'orologio sul GMT, presa una sincope nel leggere il cambio €–£ (da spezzare le gambe, 1€≈0,67£).
Il sole sta scendendo, il mare sembra più calmo. Di Albione ancora nessuna traccia all'orizzonte.

PS: tanto per dire qualcosa e togliere gli occhi dall'orologio (sei ore di navigazione sono pesanti), ho capito perché in Olanda tutti, ma proprio tutti, parlano un impeccabile inglese, vecchi compresi. I programmi tv provenienti dall'estero sono solo sottotitolati, non doppiati, siano film, documentari o chissà che altro. In tutto sono 16 milioni di persone, il territorio è grande due volte la Toscana, il complesso d'inferiorità è sempre in agguato: la lingua sta cominciando ad incorporare ed assimilare inserti anglici, ma ho visto che anche nella ritrosa e fiera Germania, la difficoltà della lingua attributiva sta incoraggiando l'utilizzo di comode scorciatoie linguistiche made in UK. Da anni se urtate una persona sul tram ad Amsterdam o volete sapere come si arriva alla Techno Parade di Eindhoven, dovete rivolgervi con un anglicissimo "Sorry!?", non c'è altro.
Il telefonino viene chiamato dai teutoni "Handy", il capo, il direttore di qualsiasi cosa è sempre lo "Chef", ma questo è soprattutto per evitare di dire "Führer"… persino gli annunci sui treni a lunga percorrenza sono in tedesco ed in inglese, cosa impensabile prima del Mondiale.

Noi quale occasione avremo mai per internazionalizzarci seriamente, che non vuol dire appecorarsi passivamente alle manie e alle mode esterofile (vedi il ridicolo cablaggio Wi–Fi a villa Ada, scimmiottato da Central Park di NY, che però — a differenza del parco romano — è frequentato da lavoratori in pausa pranzo che devono usare i loro palmari; oppure il tanto sbandierato Welfare–State alla svedese o all'americana, a seconda del vento), ma invece assumere coscienza che le lingue sono importanti, che vanno insegnate veramente a scuola, che bisogna cedere su qualcosa del patrimonio linguistico per avere altro in cambio sotto altra forma e non finire come i francesi che non tollerano di aver inventato loro la parola "informatica" (INFORMAtion AutomaTIQUE) e di non aver avuto seguito alcuno nel lessico informatico, per cui il computer rimarrà sempre e comunque "ordinateur". I lessici tecnici non li fanno gli uomini, li fa il mercato, nel bene e nel male. Insomma, dopo aver avuto un Giubileo, un'Olimpiade invernale, la morte di un Pontefice, quando finalmente si sentirà un vigile urbano rispondere in passabile inglese ad un turista o un liceale non fare spallucce se gli chiedono "sorry, how can i reach the Coliseum?". O un ingegnere non rimanere allibito di fronte ad un rapporto tecnico in inglese.
L'Europa è quasi a 30, tocca svegliarsi!

PS2: La7 l'ha fatta grossa. La sigla del PuntoTG è presa di peso dal notiziario BBC (o viceversa?)… possibile?

19.4.07

FIP Tour marzo 07 – IV puntata

22/3 h. 21,40 (all'ostello "Rotterdam City")
Leiden–Rotterdam


I nuovi compagni di stanza sono molto tranquilli per fortuna, sono dei piemontesi che lavorano ad un cantiere di condotte in Provenza.
Dopo colazione ancora saluti festosi della classe milanese che riprende la via di casa: la giovane grata mi chiede consiglio per un regalo al padre, che non sia erba o un pornaccio estremo… vi verrebbe da dirle che il padre sarebbe ben più contento di questi doni, rispetto alla cravatta coi tulipani che ha adocchiato in vetrina, ma non ho il coraggio di raggelare tanta beata innocenza, soprattutto dopo che sono assurto a ruolo di mentore…

Leiden, Leida per noi, "dove Rembrandt trovò la luce" dice un enorme poster su un palazzo, è una deliziosa cittadina che mi accoglie con folate di vento gelato, ma senza puzza bovina come in Frisia: il sole è però caldo (se si cammina) e oggi non sembra tirarsela troppo.

Vado subito al museo Boerhaave (dal nome del clinico Herman) da dove esco meno ignorante di prima, come mi succede da una settimana a questa parte. È un tipo di museo assolutamente tabù nel nostro Paese, perché tratta nientemeno di storia della scienza, in maniera didascalica ma soprattutto interattiva: la dimostrazione — ancora una volta scioccante — me la danno tre scolaresche di prima–seconda elementare che fanno una specie di caccia al tesoro assieme alle loro maestre, armati di materiale didattico. Gli esperimenti che fanno nelle sale sono tremendi (uno sulla diffrazione della luce non mi riesce nemmeno a l terzo tentativo, nonostante svariati anni di corso di Ingegneria, per fortuna i piccoli non sono a tiro): prendere il punto con un sestante (vero) e controllare il risultato (4° e rotti, a me venivano 22°…), fare 12x35 col regolo calcolatore (non mi ci sono applicato nemmeno) o estrarre un nascituro con una coppia di forcipi da un manichino (questo mi riesce al primo colpo, che abbia sbagliato tutto nella vita?!?). I futuri non–terrorizzati–dalle–scienze li verificano subito con un piccolo test a crocette, che discutono con la maestra, sempre democraticamente, con alzata di mano e con tono di voce mai esuberante, nonostante la concitazione del momento.
Mi esce un secondo "e che cazzo!" alla Sordi quando scopro che col biglietto ho diritto ad un caffè e ad un quadratino di torta al cioccolato.

Pranzo ancora in panetteria con dei tavolini, dove la commessa al bancone porta la roba che hai ordinato e che ha riscaldato in forno: il gracchiare e i raschiamenti di gola (fonetici, intendiamo, non catarrosi) con cui mi esibisco in pubblico mi danno l'illusione di parlare olandese i loro frutti e la commessa mi lascia indulgere con tatto nella mia illusione.

Nel pomeriggio arrivo a Rotterdam: è la prima volta da quando sono partito che per vedere una faccia bianca con occhi azzurri impiego cinque minuti. Ed è la prima volta che vedo in Olanda 2, 3, 5, 7 pattuglie della Politsie a piedi, in moto, in bici, in furgone per le strade: qui c'è lo spaccio di roba pesante più grande di tutti i Paesi Bassi, i tassi d'immigrazione più alti del paese, il più vasto assortimento in tema di sollazzi della carne, per via dell'animatissimo porto merci.
L'immigrato si fa sempre notare, ovunque si trovi e qualsiasi cosa faccia: urla, assume un'espressione truce ed incazzata anche con gli amici, spara tuz–tuz a palletta in macchina… è la non rassegnazione ad accettare o la volontà di distinguersi? Tutto si può dire, però, tranne che l'immigrato venga maltrattato in Olanda.

In stanza capisco che stanotte si avrà un bis della notte trascorsa: entra un bruto dell'Est, visibilmente stanco, puzzolente all'inverosimile, che si butta a peso morto sul suo letto e praticamente sviene, non si addormenta. La roba degli altri, sparsa nella stanza, mi ricorda preoccupantemente la bagaglia dei rumeni di Haarlem.

Doccia e poi giro al porto vecchio: il vento quasi ti fa cadere e perciò l'Erasmusbrugse lo vedo da lontano.
R'dam è un laboratorio di urbanistica a cielo aperto: si è fatto, si fa e si farà di tutto e di più, ancora di più che a Berlino.
Arrivo in metro a Delfshaven, da cui i Padri Pellegrini partirono alla volta delle Americhe e celebrarono l'ultima messa prima di salpare col Mayflower (non si sa mai…).
Non ho fame per niente, mi prendo una polpettona di carne e un goccio di birra in un café bruijn (il tipico pub olandese), poi me ne torno in ostello.

Che mi aspetterà su quando torno in camera? Speriamo che i tappi di gomma che mi ha dato la receptionist servano a qualcosa.


23/3 h. 9,33 (ostello R'dam City)
R'dam—H.v. Holland

I tappi dovevo mettermeli nel naso, altro che orecchie…
La xenofobia è ai massimi storici, purtroppo.
Il russo, quello svenuto dal sonno puzzava in una maniera invereconda, sono inutili le contromisure adottate, come spalmarmi il deodorante sulle mani e sul naso, tenere il finestrone aperto, respirare con la bocca: mi sveglio a tratti durante la notte per l'insufficienza respiratoria. Mi viene la tentazione di lavarlo con una manichetta antincendio nel letto e svuotargli addosso un estintore e di rompergli in testa la bottiglia di Jonver (il gin olandese) che ogni tanto sento sorseggiargli.
Alle cinque i tre rumeni accendono la luce della stanza e cominciano a parlare e a scherzare ad alta voce.
La misura è colma: "E basta, aho', e so' 'e cinque!!! e 'nnamoo su, spegnete 'sta cazzo di luce!" è la mia romanesca reazione, per dare peso alle parole, cui segue un cortese "Vai a fare culo in Italië" dal basso.
Attacco un battibecco in inglese con il più giovane, che non vuole saperne di accendersi la luce del letto, perché "devo andare a lavorare". Non insisto, sono di più e forse pure col coltello. Li mando a cagare a mezza bocca utilizzando le più fetide espressioni del dialetto quirite e partenopeo. Alla reception, prima di colazione, vado a fare un comizio costruito ad arte, toccando tutte le corde più sensibili del sentire olandese, vale a dire l'accoglienza ma il rispetto, da parte dell'accolto, delle regole dell'accogliente.

Loro sono come noi italioti che sbarcavamo ad Ellis Island o che riempivamo i cantieri di Düsseldorf: i Mimì della prima ora hanno però vissuto in baracche, in case in otto persone, guai se avessero messo piede in un ostello della gioventù, come minimo gli avrebbero rotto la testa e poi appiccicato sulla fronte un foglio di via, come un pacco.
Mi rendo conto che straparlo, anzi strascrivo (forse), è la mancanza di sonno e l'intrinseca ed estrinseca complicazione del mondo che mi rende nervoso e insofferente, specie dopo che sono stato mandato a fare in culo nella mia lingua da uno staniero che pretende di avere ragione, pur essendo nel torto, in casa d'altri.

Meno male ci sono una signora olandese che, come ieri sera, mi chiede delle cose che non capisco assolutamente e un van Gogh, rubizzo e con la barba rossastra, che mi tirano su il morale al solo guardarli.
Mi accuccio nella silenziosa sala TV a guardarmi il mitico meteo della BBC e le cretinate della MTV made in Holland (praticamente solo sottotitolata): tra un po' vado ad imbarcarmi per Albione al porto di Hoek van Holland.
PS: il giornale di oggi dice che sabato gli Orange giocano contro la Romania. Spero gli facciano il culo a strisce! Oranje boven!

(continua)

15.4.07

FIP Tour marzo 07 – III puntata

Prae Scriptum:
Dedico queste note ad un altro viaggiatore, un alpinista che non è riuscito a scendere dalla montagna e a tornarsene a a casa.
Non lo conoscevo bene, l'ho visto quattro o cinque volte, non ho scambiato chissà quali discorsi profondi, non ero legato a lui da chissà quale profonda amicizia, però sono rimasto turbato quando ho saputo che una persona che ho conosciuto, con cui ho cenato, parlato e scherzato è morto precipitando in un canalone di una montagna.
Riposa in pace, F.



21/3 h. 9,04 (sul treno per Leeuwarden)
Utrecht–Leeuwarden–Alkmaar–Haarlem

La notte trascorre tranquilla (e meno male…), giusto la scure della finestra seicentesca non si chiude perfettamente e lascia passare una lama di luce che alle 5 sono sveglio, ma riesco a portare avanti un dormiveglia per altre due ore, poi mi alzo e mi preparo. Praticamente mi lavo e mi sbarbo in vetrina, perché le finestre della camerata (in cui c'è il lavandino) sono enormi e la strada che ci separa dall'edificio davanti è stretta: per fortuna non esce nessuno, ma io avrei fatto finta di nulla ugualmente, perché da queste parti usa così. Beate quelle terre che pongono la privacy in cima al vivere civile…
A colazione entro assieme ad un cieco (o almeno presumo tale per l'occhiale scuro e i gesti impacciati, comunque sicuri) che somiglia molto a Giobbe Covatta.
Il giornale free–press che trovo sul sedile in treno titola trionfale su tre colonne "De lente is begonnen!" (È cominciata la primavera!), e una foto di agnellini appena nati e di tulipani in fiore campeggia nelle pagine interne. Fanno 11°, tira un vento gelido, anche se c'è un bel sole…e vabbè…
C'è anche un trafiletto su un'operazione anti–camorra ("de Napolitaanse tak van de Maffia")… e vabbè…
Le previsioni annunciano tragedie giusto quando dovrò attraversare il mare del Nord in traghetto… e vabbè…
Il carrello dei beveraggi e degli snack su questo Intercity è stato incorporato nel venditore che porta tutto l'occorrente in una specie di grosso zaino, ai cui lati sono impilati i bicchieri di carta per le bevande calde: non voglio però sapere da dove cacci tè o cioccolata calda…
Il programma di oggi è abbastanza folle e non poteva essere altrimenti perché da me ideato: i punti di partenza e di arrivo (Utrecht ed Haarlem) distano una ventina di minuti di treno, io ci metterò quattro ore e mezza, disegnando un enorme ferro di cavallo che passa per Leeuwarden, il capoluogo della Frisia, la grande diga di contenimento (Afsluitdijk) ed Alkmaar.

22/3 h. 10,23 (sul treno per Leiden)
Haarlem–Leiden–Rotterdam

Ieri, appena scendo dal treno a Leeuwarden (o Ljouwert, in frisòne), vengo investito da un terrificante puzzo di stalla che riempie l'aria, sia pure spazzata da un vento molto freddo: mi viene da malignare che non potrebbe essere altrimenti, dato che la Frisia, di cui questa città è il capoluogo, è la patria della mucca da latte più produttiva al mondo, la frisona pezzata bianca e nera, capace di una media di 30–35 litri di latte al giorno.
Al Museo di Frisia, nel centro cittadino, però nessuna menzione sulle glorie ruminanti. Mi viene però il solito senso di vergogna per come siamo capace di violentare il nostro patrimonio culturale.
Qui la storia di questa gente fiera e solerte, che, agli albori della storia dell'umanità, ha costruito dei montarozzi fangosi artificiali (le terpen) per stare con i piedi asciutti, ha organizzato gli unici due scioperi generali e le attività di guerriglia clandestina durante l'occupazione nazista, ha rotto le palle, ma con educata e democratica fermezza, alla Casa reale dei Nassau per essere riconosciuti come regione indipendente, senza però approdare ad alcunché, viene raccontata in addirittura due edifici affacciati l'uno all'altro, collegati da un tunnel sotterraneo: tutto è pulito, ordinato, comprensibile, anche se in alcune sale mancano le didascalie in inglese. I nostri musei che raccontano storie ben più complesse e custodiscono tesori ben più pregevoli dei vestiti della spia–zoccola Mata Hari, altra gloria locale (cimeli storici interessanti, intendiamoci) sono sporchi, disordinati e incomprensibili. La domanda è sempre la stessa "ma perché?" Chissà…
Ma non ho molto tempo per rimuginarci sopra, perché si sono fatte quasi le due e l'autobus che porta ad Alkmaar parte ogni ora e devo scarpinare di corsa verso la stazione mangiucchiando delle pizzette e dei panini che ho preso in panetteria, assieme all'immancabile succo di mela, con cui mi sto drogando di brutto.
La linea percorre interamente la diga di sbarramento aperta nel 1932, l'opera principale all'interno dei grandiosi lavori di sottrazione delle terre all'acqua di quegli anni, di cui l'ing. Lely fu il grande artefice: a lui è dedicata la più recente città olandese, sorta nel '53, Lelystad appunto, dove — mi informano ancora i giornali free–press — è stata celebrata la giornata mondiale dell'acqua.
L'autobus marcia sonnolento sulla diga, 32 km in tutto, fa due fermate in circa mezz'ora, l'autista si attiene scrupolosamente ai limiti, 90, poi 70, spesso anche 30 nelle zone di attraversamento di piccoli borghi. C'è qualche studente che però scende quasi subito, una madre nera con bambina, una ragazza che prima di arrivare si trucca forsennatamente (forse per il ragazzo) perché ha dormito tutto il tempo. L'unico che desta curiosità perché onusto di bagagli sono io.
Ad Alkmaar però mi mancano le forze per farmi un giro in città, che è abbastanza lontana dalla stazione: decido di proseguire subito in treno per Haarlem e farmi un bel giro nella città olandese che preferisco su tutte. C'è anche il tempo per rimanere "scioccato" dalla gentilezza di una ragazzina che, vistomi in difficoltà con zaino, bagagli e lattina di aranciata, mi offre il suo aiuto per scendere qualche cosa per le scale del sottopassaggio… la ringrazio a mezza bocca con espressione ebete, sono rimasto veramente sorpreso dalla cosa…

Ad Haarlem trovo in camerata un salernitano che lavora a Basilea, venuto da queste parti per canna–turismo, e quattro marmisti rumeni che lavorano ad un cantiere qui vicino. La zona loro, in cui sta il mio letto, è un mezzo suk: c'è una cassa di birra già ammezzata, una cestina di cipolle aperta, generi alimentari vari, panni sparsi ovunque.
Ancora non sono tornati quando esco per andare a cenare in centro dall'arabo al Grote Martkt, dove mi rimpinzo di kebab alla piastra e patate fritte.
Quando torno li trovo tutti quanti che si stanno mettendo a tavola: sono sulla quarantina, uno solo, il più anziano, parla inglese. Li lascio fare e mi metto un po' sull'internet a gettoni: dopo un po' arriva Luc, uno dei marmisti, che mi fa capire a gesti di voler mandare una mail alla figlia. Caccia un'agendina nuova ed intonsa, regalatagli per l'occasione penso, piena di numeri e indirizzi mail: fatico non poco a spiegargli a gesti, metà in italiano e metà in francese totoesco confidando nell'universalità della lingua romanza che la mail non è a risposta immediata e che poi domani io me ne vado e perciò non può leggersi alcunché.
Il mito del buon selvaggio comincia a prendere sostanza: gli apro un account mail, tento di insegnarli qualche rudimento di navigazione, mentre un suo compare ridacchia quando confronta me che ticchetto agilmente sulla tastiera a due mani aperte e Luc che con l'indice teso cerca un carattere alla volta sui tasti. Sono diventato il passatempo della serata, sono tutti frizzi e lazzi, partono sboccate considerazioni sulla prosperità fisica di Nadia, la figlia di Luc, accompagnate da gesti prorompenti e fischi goliardici.
In mezzo a sto bailamme, si leva una voce di ragazzina italiana: "E basta! Girati! Non mi devi fissare, hai capito?!?"
C'è una scolaresca di terza media di Milano e una delle studentesse rimbrotta il paffuto marmista coi baffetti che la fissa intensamente alle mie spalle. Intervengo e tento di calmare l'esagitazione giovanile, ma lei mi dice che prima le ha appoggiato una mano sul sedere, abbaiando per giunta. Mi sta per partire una risatona, però devo mettere le cose in chiaro: faccio capire a gesti e a parole chiave al rumeno che sono minorenni, che se i professori italiani chiamano la "polìs" loro se ne tornano in Romania di corsa.
La tonda faccia del rumeno paffuto diventa bianca dallo spavento: la prospettiva di tornare a casa senza soldi dalla moglie, con una querela appresso, gli calma i bollenti spiriti di colpo. La nera prospettiva ha un effetto calmante anche sugli altri, che smettono di fare gli inopportuni con le ragazzine.
Quando è ora di mettersi a letto cominciano le dolenti note di convivenza multi–etnica: le lattine di birra partono a coppie e triple, è un continuo "pftssss" di linguette di metallo che si aprono (ne conto 7), di chiacchiere ad alta voce nonostante abbia creato un oscuramento strategico notturno per fargli capire che è ora di coricarsi. Solo alle 23 si spegne tutto e si dorme.
Almeno riesco a fare così fino a mezzanotte e mezza quando urla e strepiti nel corridoio mi svegliano di colpo: stavolta sono i liceali francesi — molto scostanti — che vanno a sfumazzare i loro souvenir d'Amsterdam. I tentativi di riprendere subito sonno si volatilizzano all'istante perché la cestina di cipolle sotto il letto e gli avanzi di cibo mandano un odore grave, cui si mischia l'alito di birra dei dormienti e, soprattutto, il loro feroce russare. L'aria è un cubo di soluzione esausta. Le pareti tremano sotto i colpi delle russate violente sincrone e asincrone dei lavoratori sfranti dal duro compito in cantiere.
Però io voglio dormire! All'una chiedo di cambiare camera in reception e mi piazzano al piano di sopra: il trasloco avviene in un lampo a lume di torcia (in bocca) e nel salottino dell'ingresso, dove mi fermo a radunare le mie povere cose, incontro la piccola milanese che ho difeso dalle bramosie del bafometto pannonico, la quale comincia a versare gratitudine e riconoscenza, dandomi del "lei", come pure fanno le amiche chiamate a raccolta, quasi fossi una personalità.
Un'occhiata di un loro prof di passaggio mi incenerisce pensando chissà che e manda tutte a letto: sono troppo stanco per chiarire e me ne vado in stanza pure io.

4.4.07

FIP Tour marzo 07 – II puntata

mart. 20/3 h. 10,07 – (sull'ICE per Utrecht)
Colonia–Utrecht


Ormai ho sviluppato un settimo senso per le persone: capisco al volo che tipo ho davanti, prima ancora che apra bocca.
Più volte mi sono detto — peccando di modestia (falsa) ed esagerando in xenofilia (vera) — di starmi zitto, di non essere infallibile, che la prima impressione non è quella che conta.
Dopo stanotte mi ricredo e mi pongo sugli altari, giudice supremo del bene e del male umano, delle miserie e delle virtù altrui: il mio settimo senso funziona ormai al 98,999% e gli eventi grotteschi appena occorsi lo dimostrano.
Dissi che il nuovo arrivato era "strano". Allora, io mi alletto alle undici, verso mezzanotte tornano gli yankees, però capiscono che dormo e quindi fanno pochissimo rumore, non accendono tutte le luci.
Alle 4 comincia il delirio. Torna lo strano e accende invece tutte le luminarie, sbatacchia le porte, si spoglia completamente e si mette nel letto, il mio sonno è messo gravemente a repentaglio. Dopo un po' sento che qualcuno in stanza comincia a grattarsi sotto le coperte come quando le zanzare banchettano con la nostra epidermide ad agosto, solo che il grattare continua per minuti interi, senza interruzione. Io che penso sempre male comincio a sospettare il peggio, ma scaccio il pensieraccio dall'anticamera del cervello. Il rumore comincia ad assumere cadenza regolare e si frammischia una respirazione sempre più grave ed affannata. Non voglio credere a quello che sento, perché ormai è chiaro che qualcuno sta praticando autoerotismo. Oh, Madonna, ma tutte a me capitano?!?
Girandomi verso il centro della stanza, pur nella nebbia della mia miopia, vedo distintamente lo strano, nel letto superiore parallelo al mio — per fortuna lontano — che se lo mena con vigore. Non ci credo, ma purtroppo è vero. Vabbé, astinenza, diciamo così, una gliela concedo, passi. Però arriva al dunque altre due volte: lo yankee oxoniense si alza perché deve prendere l'aereo presto e accende la luce dell'ingresso e la scena si rischiara in tutta la sua miseria perversa.
Che fare? Il dubbio che fece vergare a Lenin parecchio inchiostro e gli tolse il sonno per parecchie notti dopo la Rivoluzione, si affaccia anche da me: urlo? Lo minaccio? Accendo la luce e urlo e lo minaccio? Scappo alla reception e — come ha insegnato Frau Kunzemann, la proffa di tedesco — sfoggio il terrificante vocabolario accusatorio tedesco, calcando gli accenti dei prefissi e parlando con l'indice teso?
Alla fine faccio un po' di tutto: in inglese, perché non so di dove sia, urlo di piantarla con questo schifo e gli prometto di farlo cacciare a calci nel culo (nudo, vorrei aggiungere, nel freddo gelido di Colonia). Raccoglie il coso fra le mani, con falso pudore, si copre e si gira dall'altra parte, di scatto. Sono le 5, si è spippettato per ben 45' continuativi… una cisterna!
Mi forzo di addormentarmi dritto sul letto, col cuscino dietro le spalle e con un occhio aperto, come un sentinella di una trincea sul Carso, non si sa mai. Alle 6,30 finisce un sonno epilettico e decido di vestirmi, lavarmi (ma nel cesso della reception, perché mi fa schifo toccare persino il pavimento) e squagliarmela. Quando torno in stanza trovo Maurizio che disfa l'armadietto di corsa e mi accoglie con un incredulo "unbelievable!!: il merdoso ha ricominciato di gran carriera, via in tutta fretta.
Dopo averne dette quattro alla reception andiamo a fare colazione. Ci ridiamo anche su, ma siamo entrambi a pezzi: io ho le gambe pesanti e dolorose dal poco sonno, lui è sfatto e scioccato. "It happens" ci rassegniamo entrambi.
Tanto è il trauma che alla stazione di Colonia mi stava per partire il treno per Amsterdam sotto il naso. È zeppo di giapponesi, manager che vanno a Düsseldorf o Duisburg — le tristissime città–fortezza del sistema industriale tedesco —, sono pochi quelli che vanno in Olanda.
Il cielo è velato, sole a sprazzi, ma non convince. Ad Emmerich, subito dopo la frontiera, la prima cosa che vedo è un bel mulino a vento e mi torna il sorriso.

h 21,50 (all'ostello "Strowis", Boothstraat, Utrecht)
Utrecht è una città bellissima, con i soliti canali marroni, le strade acciottolate con mattoni rossi, gioventù bionda o rossiccia in bicicletta, vento freddo che sbuca da un angolo all'improvviso e sembra voglia buttarti per terra (il Duomo venne addirittura sradicato dalla furia di Eolo nel Seicento), le campane del carillon che suonano una melodia diversa ogni quarto d'ora.
L'ostello che ho scelto non appartiene al circuito HI internazionale, è gestito da ex squatters nella vecchia sede dell'ACI locale: è dunque un esempio di negoziazione urbanistica molto interessante, di do ut des profittevole che salva le apparenze e fa contente entrambe le parti. Quando lo sgombero si faceva sempre più vicino, gli occupanti decisero di prendere questo palazzo seicentesco di tre piani, di ripulirlo bene, di metterci mobilio demodé e di farci un ostello accogliente e confortevole, salvaguardando anche l'etica degli ideali tenendo in piedi un centro di attività politica poco lontano, una specie di centro sociale però pulito, come ho visto passando da fuori.
Prima di entrare al Museo degli Organetti da Strada e delle Macchine musicali (ebbene sì, esiste anche questo) cedo al diavolo tentatore neerlandese sotto forma di "vlaamse vrieten", un cartoccio medio di patate e maionese che è il mio pranzo assieme ad un milk shake alla banana. Il museo raccoglie gli esempi di quanto la tecnica sia perniciosa e ossessiva: ai tempi in cui non c'erano lettori mp3 e sì e no girava qualche disco per grammofono, per riempire le serate dei café e dei bistrot, più o meno malfamati e fumosi, alcuni artigiani e tecnici (fra cui parecchi ingegneri…) si sono attrezzati nel tempo per creare macchine che suonino canzoni in automatico, mediante dischi o nastri di carta perforati. Ecco dunque la spaventosa Violina o l'organetto da tavolo a manovella per insegnare a cantare all'uccellino nella gabbia in salotto. Ci sono parecchi strani, vecchi male in arnese, vestiti peggio, con due occhiali sul naso, che ricordano i bei tempi andati dei Pierements, i pesanti organi meccanici da strada, che tanta fortuna ebbero nei Paesi Bassi in virtù del piattume del territorio.
Dopo ciondolo un po' per le vie del centro, mi impolvero in un sotterraneo enorme zeppo di libri da un rigattiere "De Arm", che è un'istituzione per il bric–à–brac e le cianfrusaglie, visto che ha altri due negozi tematici, uno di mobilia, l'altro di articoli di casa e di hi–fi d'epoca. Non posso non uscire senza aver comprato qualcosa, il richiamo della carta stagionata è micidiale. E così è infatti. Ma dove li metterò più 'sti libri?!? penso mentre mi appennico in stanza.
Dormo per un'ora e mezza, una bella doccia e poi via a mangiare, perché sono già le 19,15 e qui tra un'ora l'unica cosa aperta è BurgerKing o qualche mefitico arabo (anche se la tentazione di kebab è forte).
In un locale sci–sci spendo poco perché prendo i piatti della tradizione, zuppa di pomodoro e involtini di formaggio brie nel prosciutto. Giretto digestivo nel centro deserto e poi nell'enorme centro commerciale Catherijnhof, che attraversa praticamente tutta la zona centrale sbucando alla stazione: la guida Lonely Planet come al solito esagera come solo gli yankee sanno fare ("un centro commerciale claustrofobico, da far venire l'ansia"… ma gli shopping mall non li hanno inventati negli USA?!?) e la voglia di buttarla nel cesso una volta buona è grande. Tanto per fare un dispetto ai due idioti della guida, mi viene voglia di andare a cinema, visto che in Olanda i film stranieri sono sottotitolati e rimangono col sonoro originale, ma col sonno che ho non ho le forze per affrontare una impegnativa visione in lingua estera, neanche fosse Ben Stiller (che comunque avrei snobbato).
Dunque ritorno all'ostello, dove c'è un gruppo di quaaa (leggasi: mediorientali) che preparano un tremendo stufato di montone nella cucina comune e poi giocano a backgammon bevendo vino (che siano siriani maroniti?).
Io leggo, scrivo cartoline e mi faccio venire sonno. Mi convinco sempre più che la legge Sirchia sia una delle poche leggi dello Stato italiano degne di valore che qui non esiste e neanche in Germania, anche se leggo in giro che si stanno preparando decreti molto simili. Nel frattempo i miei vestiti gridano vendetta.

3.4.07

FIP Tour marzo 07 – I puntata

sab. 17/3, h 22,15 — Roma–Basilea (sulla Direttissima tra Arezzo e Firenze)
Nello scompartimento da 4 cuccette c'è una coppia di giovani Mimì, lei nata in Svizzera, commessa, lui più in carne, della provincia di Avellino, di professione giardiniere: mangiano in silenzio, come solo uno svizzero vero sa fare, una "colombra", il tortone intoppante di Pasqua. Ogni tanto parte la suoneria a palletta "La testata di Zidane": "era Filomena…"
Arriva il conduttore, elvetico come il vagone, che parla con un sinistro accento italiano alla Villaggio ("puonazeeraa! I pilietti, pé fafoore… peenee") e ci ammolla il modulo giallo delle dogane svizzere che vuole sapere vita morte e miracoli in 20x40 cm. I due Mimì ci mettono dieci minuti buoni, si consultano frequentemente, c'è qualcosa che li turba: poi sento farfugliare "allora… salsicce… due forme di caciotta… no? c'è altro?". Sorrido impercettibilmente, fingendo di guardare fuori.
In corridoio risuonano accenti dell'agro aversano e del frusinate, segno che i Gästarbeiter (quasi un nome parlante omerico, "lavoratore ospite", vuol dire vieni, lavori, ma non rompi i coglioni) tornano ai posti di lavoro, d'altronde è sabato sera.
La suoneria di Zidane squilla gloriosa altre due volte, poi si acquietano, lui nel sudoku, lei in "Eva Express", che sfoglia con controllata avidità ed evidente soddisfazione, segno che il gossip svizzero non è così allettante!

dom. 18/3, h. 10,48 — Basilea–Colonia (sull'ICE tra Karlsruhe e Mannheim)
Notte tranquilla, veglia a tratti come al solito, ma la carrozza è morbida e confortevole e non si balla troppo. I Mimì dormono fino alle otto, io alle 6,30 sono ben desto e alle 7 mi appiccico al vetro a vedere il treno che si arrampica sulle rampe del Gottardo, facendo tanti cerchi a spirale per guadagnare pendenza: una volta scesi a valle, guardando il fianco della montagna, si vedono i convogli che sbucano a quote diverse che procedono nello stesso senso di marcia.
Attacco bottone con una studentessa dell'Accademia delle Belle Arti di Basilea che torna con compagni e prof. da una lunga gita a Firenze, di cui si dice soddisfatta ma anche estenuata. Lei è di origini serbe ma è nata ad Olten, vicino Basilea, e mi racconta le vicissitudini ogni volta che va a fare i documenti, perché non è naturalizzata. Deve fare le foto bio–morfometriche per i documenti, cioè di fronte, di tre quarti con l'orecchio scoperto e di profilo, come quelle che Lumbroso scattava ai suoi soggetti di studio, perché un marocchino le ha sfilato il portafoglio a Ponte Vecchio, una mezz'ora prima di prendere il treno: souvenir d'Italie, insomma…
A Basilea l'atrio della stazione è zeppo di tamburini vecchi e giovani vestiti di nero, con un cappello a larghe falde, nero anch'esso: sono le corporazioni che accompagnano le festività della Pasqua, accorse da ogni angolo della regione per l'evento. Arrivano ogni tanto grandi zaffate di canna, ma non vedo che persone di mezza età.
Come si entra in Germania il tempo si fa sempre più grigio e cupo e presagisco il peggio, in quanto a meteo.

h 22 – all'ostello Köln–Deutz
Il viaggio a 250 km/h tra Francoforte e Colonia è da fantascienza, praticamente un ottovolante su rotaia lanciato su colline che somigliano molto a quelle toscane: mi godo lo spettacolo della tecnica nel salottino di testa, subito dietro la cabina del macchinista che è tutta a vetri, che è purtroppo zona fumatori. Ma la vista val bene farsi affumicare un (bel) po': ci sono un mio padre con figlia piccola (che si addormenta ovviamente come il treno si muove) e un nerd–ferroamatore, il peggio del peggio in quanto a connubio di passioni.
Piove tutto il tempo, prima forte, poi lieve, poi ancora forte.
Mi sistemo all'ostello, che sta in un enorme palazzo davanti la fiera di Colonia, tutto nuovo e pulito, pullulante di lodevoli bellezze, dormo una mezz'oretta e poi vado a Bonn a vedere la Haus der Geschichte der Bundesrepublik Deutschland, il museo storico della Germania (Ovest) dal '45 ad oggi. Un museo da 5 stelle, gratis perché è un omaggio dello Stato federale ai cittadini–contribuenti, con una bella mostra dal titolo "Drüben", cioè "Di là", su come i Wessis (i tedeschi dell'Ovest) vedessero quelli dell'Est, gli Ossis: scopro, per esempio, che il turismo al di là del Muro era una vacanza per pochi e abbastanza ambita da parte dei cittadini federali.
Bonn è triste e spenta, il grosser Umzüge, il gran trasloco del Governo a Berlino ha tolto praticamente la linfa vitale a questa grande città.
Torno a Colonia, mangio in una Kneipe, un'osteria vecchio stile, con pochi tavoli, tenuto da una vecchia factotum, che mi invita a sedere con due americani di Chicago perché non ci sono più posti: in Germania si usa così. I due yankees sono rappresentanti di protesi dentarie venuti qui per un'esposizione del settore: parliamo del più e del meno, di Bush in picchiata, di Obama e della Hillary, del fatto che, pur essendo stati molte volte a Milano, sia difficile trovare qualcuno che sappia parlare un buon inglese per strada…
In stanza trovo due fratelli del North Carolina, un Maurizio robusto e simpatico che ha una start–up di web design (cosa impensabile dalle nostre parti, dove quando vai a chiedere un prestito per una attività innovativa, la prima cosa che ti chiede il bancario è quale bene vuoi ipotecare…) e il fratello, secco e silenzioso, che studia scienze politiche a Cambridge — quindi se la tira un po' — e prepara un esame con l'iPod nelle orecchie.
Poi c'è un tedesco di Amburgo, simpatico, che studia Biologia e Teologia per diventare pastore evangelico. Lì parte una discussione sulle differenze fra le Chiese, delle liturgie e delle gerarchie del clero: rimangono a bocca aperta quando gli dico che la nostra messa dura 45' in media (in realtà ho visto anche di meno, anche 25' senza omelia, ma non glielo dico) contro la loro ora e mezza (ne so qualcosa…) e che si fa la comunione ogni volta che si celebra, quindi anche 2-3 volte al giorno nelle chiese grandi ("si perde il senso del gesto, così!" è la risposta del seminarista, ma non so che argomentare: dovrebbe saperlo lui meglio di me!).
Lo yankee–Maurizio ha una Bibbia sul comò e mi piacerebbe sapere se è un pagliaccio pentecostale o un idiota metodista e aizzargli così l'evangelico–luterano, ma ho troppo sonno e lascio correre.

lun. 18/3 h. 22,20 – Colonia–Bonn–Colonia (in camerata all'ostello)
Stamattina presto tiro la tenda e vedo che nevischia, a fiocchettoni, ma non si raccoglie per terra.
L'evangelico parte (per andare dalla ragazza…), gli yankees restano: dopo colazione parlo con Maurizio degli USA, della sua inspiegabile passione per la Russia e per il russo, che studia da quando aveva 8 anni.
Io prendo la via di Bonn di nuovo, saltando su un IC che arriva a fagiolo: come privilegiato ancora per poco, siedo in 1a. nello scompartimento occupato da due manager tipici tedeschi, vestiti con gusto pessimo, con "Der Spiegel" nella mano, borsa di cuoio nera o marrone e… portapranzo di plastica con panino al Bockwurst dentro! Rifletto su quanto siamo stupidamente provinciali dalle nostre parti, barocchi all'inverosimile, per cui un collega italiano di uno di questi si sarebbe lasciato stroncare dall'ipoglicemia pur di non cacciare un panino casareccio in prima classe.
A Bonn nevischia ancora: attraverso il centro a piedi, animato dal viavai di sfaccendati del lunedì (pensionati, casalinghe, studenti che fanno sega, professionisti che si attardano nelle trasferte). Il mercato nella piazza principale non ha nulla a che vedere con i nostri suk, tutto è bello, pulito e profumato, le urla dei venditori sono richiami ad alta voce, non ci sono cumuli di verdure marce o pozze di acqua di pesce per terra.
La casa di Beethoven è l'archetipo del museo agevole, veloce e coinvolgente: l'audioguida è sintetica e precisa, i cimeli interessanti e commoventi (soprattutto i cornetti acustici), c'è anche un laboratorio informatico dove consultare documenti, ascoltare registrazioni, seguire la musica sulla partitura. Ad aggiungere aria di extraterrestre è un gruppo di bambini di una scuola inglese, parlanti tedesco però, 5-6 anni, non di più, forse figli del personale NATO della base di Rammstein o di diplomatici: visitano interessati e divertiti il muso, accompagnati da una guida dall'aria simpatica. La prima domanda che gli fa nel cortile è "quanti di voi suonano uno strumento?" Si levano una decina di mani su 20 bambini e sento "chitarra, piano, flauto"… me ne vado con un sonoro "E che cazzo!" alla Sordi, tra l'invidioso e l'esterrefatto…
La ricerca della scultura di cemento Beethon (Beton, in tedesco, è appunto il conglomerato cementizio) dopo pranzo va a vuoto perché il famoso circo Roncalli occupa tutta l'area: mi accontento di una passeggiata sul lungo Reno, dove transitano chiatte piene e vuote a tutta forza, e di shopping librario, tanto per appesantire un po' il bagaglio.
Nel pomeriggio visito il Duomo di Colonia e la bellissima stanza del tesoro sotterranea, poi torno all'ostello, esausto.
Trovo un nuovo compagno di stanza, con cui scambio solo gesti e qualche frase a mezza bocca.
Più tardi scenderò al buffet dell'ostello, penso proprio che opterò per il menù vegetariano.
Domani si parte per l'Olanda, voglio stare leggero, mi devo alzare presto.

FIP Tour marzo 07



Sono tornato domenica sera reduce dal mio giro di due settimane sulla rete ferroviaria europea, dopo aver percorso grossomodo 5.000 km e aver visto Germania, Olanda, Inghilterra, Francia e Svizzera.
Comincio a postare — per la gioia di tutti — la prima puntata delle mie (brevi, state tranquilli) note di viaggio.