20.8.06

Terzo post olandese - 6/8

Ancora con l'euforia in corpo generata dall'incontro con la mastodontica "Nyk Castor" alle chiuse di IJmuiden e con i polpacci induriti dalla lunga pedalata controvento (all'andata e al ritorno), ci prepariamo per la scoperta di Amsterdam: arriviamo alla piazza della Centraal Station in compagnia del nostro amico australiano con cui dividiamo la camerata — un ragazzino diciassettenne che sta facendo una specie di stage a Londra in vista dell'esame di maturità, timido e con qualche capello bianco in testa per cui Michela avrebbe fatto fuoco e fiamme — e di due new yorkesi dei Queens, fratello e sorella. Lui, un logorroico da competizione, studia cinematografia a Lione ma non ha mai visto manco mezzo Fellini né tanto meno Monicelli, fin quasi al capolinea del tram conclude un lunghissimo sermone cominciato non appena il treno si è mosso da Haarlem, recitato in slang della Grande Mela con inserti di amerenglish su quel "coglione" di Michael Moore, sul guerrafondaio Bush, ma anche sui deludentissimi democratici a stelle e strisce. Lei, molto carina, riccetta bionda, pelle di luna e smalto nero su mani e piedi, non spiccica che poche parole approfittando delle pause del fratello oratore per riprendere fiato: riesco a capire che parla un po' di tedesco, che comincerà gli studi di scienze politiche l'anno prossimo, che hanno una sorella che vive ad Asti, evidentemente attratta da qualche chiavatore da competizione, che sono stati in Italia e a Roma, e che sono innamorati del nostro Paese. I miei piani di abbordaggio della suddetta nel bar dell'ostello a sera cadranno miseramente a vuoto, in quanto, al nostro rientro, dei due non v'è traccia alcuna: io e mio fratello maligniamo che il logorroico invece di portarla a Filmmuseum come ci aveva più volte orgogliosamente ripetuto, l'abbia barattata con il casting manager del celeberrimo seventeen.nl in cambio di una Leica 16mm...
Il nostro primo tentativo di avvicinamento al Rijksmuseum, il Museo Reale, scrigno della pittura olandese dell'Age d'or, cade a vuoto per via di una lunga coda che gira due angoli dell'isolato, un'ora buona di attesa ad occhio e croce.
Decidiamo allora di andare subito al
  • Museo del Tram Elettrico
  • , sito in una vecchia stazione abbandonata. È uno dei più belli e stimolanti musei della tecnica che abbia visitato, non tanto per la collezione custodita, di per sé comunque di valore, ma perché è uno dei pochi musei vivi dedicati al genere: su un percorso di circa cinque chilometri, ogni domenica i curatori ed i volontari della Fondazione fanno sferragliare i pezzi della collezione, da loro stessi acquisiti, restaurati e tenuti in esercizio. Oggi hanno fatto uscire dal deposito-hangar una bellissima vettura viennese degli anni Trenta (in cui si legge anche il cartello "Vietata la salita ai Giudei"), una sua coetanea praghese, una più vecchiotta di Groningen con rimorchio aperto e, infine, una vettura Amsterdam 1920 su cui prendiamo posto.
    Ci sono per lo più anziani e famigliole, noi siamo un po' fuori luogo per la giovane età: c'è anche un pensionato della GVB, l'azienda dei trasporti di A'dam, in sandalo con calze nere, calzoncini, occhiali scuri, baffi a manubrio e... rutto libero alla partenza!
    C'è chi è feticista dei piedi, chi della biancheria intima, chi delle orecchie (eccomi!), ma anche chi dei tram (eccoci!): il viaggio è un piacere per la vista e per l'udito, la mano artigianale ma non troppo dei curatori del museo si vede ovunque. Le rotaie, dono delle ferrovie olandesi NS, non sono posate a regola d'arte, la linea elettrica di alimentazione è stata progettata da un vecchio ingegnere del GVB a riposo e montata, nelle domeniche pomeriggio, da un operaio delle officine delle ferrovie di Rotterdam. Ai passaggi a livello, il bigliettaio scende e ferma il traffico con una bandiera rossa, anch'essa dono delle NS: ha la facies di un immigrato asiatico, ci prende subito in simpatia visto il nostro grado di attenzione e di godimento di tutto il complesso, ci racconta delle sue scorribande da giovane InterRailer in Italia, sospinto da una passione insana che lo ha portato perfino a prendere fumose littorine su oscure linee siciliane... Ci lascia rimanere, contravvenendo al regolamento, a bordo durante la manovra d'inversione della marcia e, al capolinea, ci offre un altro viaggio gratis sulla vettura viennese che dovrà guidare: a malincuore gli diciamo garbatamente di no, perché vogliamo continuare a girare in città e perché vogliamo fare un po' di shopping nel negozietto del museo. Un po' di shopping si tramuta nell'acquisto di libri, materiale vario e di una pesantissima ma invitantissima (visto il prezzo irrisorio di 5€) tabella di destinazione dei tram di A'dam, che però non ci permette di girare agevolmente in città e nemmeno di passare inosservati: dopo averla lasciata nei cassetti a chiave della stazione, prego di non trovare al ritorno gli artificieri in assetto operativo...
    Per raggiungere la prossima tappa, la cappella clandestina dei tempi della Riforma,
  • Nostro Signore nel solaio
  • , attraversiamo il cuore dello squallore e del sudiciume urbanistico ed umano, il tanto decantato quartiere a luci rosse: vicoli che puzzano di piscio, mignotte sfatte in vetrina, per lo più immigrate del Suriname che richiamano la nostra attenzione sbattendo enormi falli di gomma nera alla finestra, umanità tossicodipendente per abitudine e per turismo (e qui i nostri compatrioti danno il meglio di loro stessi), famigliole di turisti, olandesi in bicicletta, abitanti che ormeggiano le barche nei canali o che scendono a buttare la spazzatura uscendo dallo stesso portone su cui campeggia un invito al neon rosso a servirsi delle videocabine con tutte le ultime novità, disciplinati plotoni di giapponesi, saccopelisti di ogni nazionalità, insomma di tutto e di più... Il museo ci sembra una piccola oasi in mezzo a tanta carnalità, a tanto squallore: quando i protestanti incazzati neri con Roma vietarono il culto cattolico in città, il mercante proprietario della casa che ora visitiamo ottenne la deroga di poter officiare in casa senza limitazione alcuna. Ribassò allora i solai dei piani inferiori e abbatté quelli fra il secondo ed il terzo piano, ottenendo uno spazio enorme in cui ricavò una chiesetta, con tanto di organo e pala d'altare, usata ancora oggi per matrimoni chic e concerti.
    Scappiamo a gambe levate dal marasma di peccatori che ci circonda e ci rifugiamo in un bel parco verde, letteralmente assediato da locali e da turisti, gran parte dei quali rigorosamente muniti di canna accesa: c'è anche chi organizza il tiro alla fune, ma una delle due squadre è composta per metà di avvinazzati e per la restante metà di accannati, perciò ad ogni mano perde sempre miseramente. C'è anche un tizio male in arnese, la tipica physique du rôle del pugnettaro da parco, che intrattiene una penosa conversazione in inglese con due turiste vecchiotte che si sono imprudentemente accomodate sulla stessa panchina per riprendersi qualche minuto: l'abbordaggio delle straniere è uno sport praticato anche dai vecchi tranvieri, in calzoncini e saldali con calzino, con qualche risicato successo solo in virtù del ruolo salvifico ricoperto da queste persone, in una città dalla toponomastica ingannevole e gutturale. Solo io non riesco a scalfire un sorriso alle giunoniche manovratrici con il mio charme e i miei timidi tentativi di erudizione fonetica neerlandese, visibilmente nervose per il turno estivo-domenicale e per l'imperizia dei turisti che nulla sanno, nulla capiscono e nulla vedono, neanche un tram sferragliante a sei casse che sta per piombarti addosso dietro la curva...
    Torniamo nell'epicentro del vizio per assistere ad un concerto d'organo e, mentre faccio la fila al pissoir sul lungocanale davanti la Oude Kerk, il duomo vecchio, vedo un tizio dell'Esercito della Salvezza che brandisce un enorme cartello su cui è riportato un passo del Vangelo di Luca e che sta riportando a più miti consigli due potenziali clienti "vetrinisti" di mezza età. Durante il concerto, dalle vetrate smerigliate vedo i bagliori di un neon rosso che pulsa intermittente: il contrasto è terribile, fra dentro e fuori. Stridente è pure l'immagine dell'organista tedesco ospite — molto bravo — che si accomoda a cena nella sala da pranzo del pastore della Oude Kerk, praticamente a piano terra, nel vicolo che dà su un postribolo a vetri molto trafficato: anche loro, in un certo senso, stanno in vetrina.
    Assieme all'australiano che ci ha raggiunti in chiesa, prendiamo un po' di cucina greca da asporto e consumiamo avidamente il tutto seduti sulla banchina di un canale molto tranquillo: il silenzio è rotto soltanto dallo scampanellare di qualche ciclista isolato o dalle grida avvinazzate di saluto dei Captain Stabby, dei gitanti su barca di ritorno dalla crociera domenicale.
    Gli ultimi minuti ad A'dam sono caratterizzati da una corsa fuori programma al deposito bagagli ché si avvicina l'ora di chiusura: una volta recuperata sul filo dei secondi, scappo a gambe levate con la famosa tabella tranviaria in spalla onde evitare imbarazzanti domande del custode del deposito e conseguenti, spiacevoli equivoci...

    PS la mia scarsa dimestichezza col codice delle pagine unita alla pigrizia innata mi hanno portato a copiare impunemente pezzi di linguaggio belli e pronti per i link esterni, con i disgraziati risultati grafici che potete ben vedere: me ne scuso e me ne dolgo, ma non capisco né ho voglia di capire l'arcano nerdico che si nasconde dietro ai link pallettati, perciò sopportateli senza dir nulla!

    2 commenti:

    Anonimo ha detto...

    che belli i tuoi post olandesi...quasi quasi lo faccio anche io un blog!
    bacioni e buon week-end

    Anonimo ha detto...

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